Il Tempo (E.Menghi) – Ci risiamo. La Roma è di nuovo allo sbando e, se prima Di Francesco suggeriva di ricorrere a uno psicologo bravo, adesso finiscono tutti in analisi. Compreso lui, soprattutto lui, capro espiatorio di una crisi infinita che rischia di evolvere nell’ennesimo sacrificio. Non è in discussione il tecnico giallorosso, ma non può non sentirsi fragile su una panchina bollente che ha visto susseguirsi 14 allenatori negli ultimi 14 anni. Quasi tutti si sono dimessi, lui non vuole mollare, ma il suo futuro dipende inevitabilmente dai risultati. La società preferirebbe dare continuità ad un progetto ritenuto valido, ad oggi non crede sia lui il principale responsabile e il 15° cambio in panchina sarebbe una sconfitta per tutti.
Se ne comincerà a parlare a Boston, dove Monchi è volato ieri: nel faccia a faccia con Pallotta sviscererà i problemi di una squadra capace di grandi cose ma anche di grandi pasticci. Di Francesco non sa dove mettere le mani, ha indicato un difetto di mentalità ma sembra non trovare la chiave per entrare nella testa dei giocatori. Dell’integralista arrivato a giugno a Trigoria è rimasto poco, ora cambia persino troppo: ha abbandonato il 4-3-3 e ha adottato il 4-2-3-1 in cui non ha mai creduto per poi tornare sui suoi passi, alimentando il caos tattico. E all’orizzonte si intravede un’altra piccola rivoluzione: «Magari non siamo all’altezza di andare ad attaccare gli avversari alti, faremo delle valutazioni, devo correre ai ripari». Si cambia ancora, dunque, e farlo a Napoli è un azzardo. La difesa a tre non piace all’ex Sassuolo, ma a questo punto vale tutto. Finora gli eccessi non hanno mai pagato, vedi la mossa disperata del 4-2-4 a gara in corso, utilizzata in 12 occasioni: 9 i punti raccolti, e nelle 2 vittorie sono stati Fazio e Kolarov a segnare, nonostante le 4 punte in campo. La tattica conservativa, con 2 attaccanti o il solo Dzeko, ha funzionato invece nel derby e in 3 gare di Champions, ma con l’Inter ha portato la linea ad abbassarsi troppo subendo gol da Vecino.
Con due mediani davanti la difesa le cose sembravano andare meglio, ma la flessione di Nainggolan non ha permesso il salto di qualità. Il Ninja è solo uno dei big sottotono e una percentuale di responsabilità è del tecnico, che deve saper valorizzare le sue risorse, cosa che gli è riuscita solo con Under. La somma dei problemi pesa sulle spalle di Di Francesco, che fa saggiamente autocritica ma sbaglia tutto il resto: la comunicazione non è il suo forte e col mercato aperto ha palesato questo limite, soffrendo pubblicamente per una cessione mai concretizzata. Dice di non sentire le radio, poi in conferenza snocciola dati e frecciatine. Quell’ambiente che si vantava di conoscere a menadito lo sta sgretolando e se non riuscirà a portare la Roma dove merita, in Champions League, farà le valigie come i suoi predecessori e sancirà l’ennesimo fallimento.