Roberto De Zerbi, tecnico dello Shakhtar Donetsk, più altri otto membri italiani del suo staff sono rimasti bloccati in un albergo a Kiev. La Federcalcio ucraina ha annunciato questa mattina la sospensione del campionato, ma l’attuale chiusura dell’aeroporto impedisce loro di lasciare il Paese. Queste le dichiarazioni dell’allenatore, in collegamento telefonico con SportItalia:
“Viviamo questo clima di tensione da giorni. Aspettavamo la sospensione del campionato per andare a casa. Quando fai l’allenatore hai anche la responsabilità dei giocatori, noi abbiamo 13 brasiliani. Stamattina ci siamo svegliati perché abbiamo sentito le esplosioni. Stiamo bene. Siamo chiusi in hotel, aspettando notizie dall’Ambasciata che ieri ci aveva sollecitato di lasciare il Paese. Non abbiamo alcuna rimostranza con loro, si sono comportati bene con noi. Stiamo aspettando per capire cosa fare. La vera preoccupazione è per la mia famiglia, per i nostri cari che sono preoccupati e forse stanno vivendo peggio di noi questa situazione. Non volevamo fare gli eroi, gli eroi non esistono, chi lavora nel calcio non può fare altro ma nel nostro lavoro ci sono delle responsabilità e dei valori, che ho sempre rispettato e anche quelli del mio staff hanno seguito quella che era la mia linea, che era quella di non abbandonare il club, fino a quando la nostra presenza era necessaria, ovvero fino a quando il campionato era in svolgimento, quando il campionato è stato sospeso, purtroppo solo stamattina, la nostra presenza qui non ha senso. Ieri ci dicevano che c’era il 70% di possibilità di giocare a Kharkiv, a 30 km dal confine con la Russia. C’era ansia e paura. Per noi il pallone è più del gioco, è il nostro lavoro. Siamo rimasti, sapendo che potevamo andare via prima, senza negare quello che è stato fatto. Attendiamo l’Ambasciata. Anche per noi, per me, è una situazione nuova“.
Non sei stato obbligato a rientrare dall’Ambasciata ma consigliato…
Spiegare ai figli è difficile, non avendo mai vissuto uno spogliatoio non possono capirlo. I miei figli mi hanno scritto messaggi nei giorni precedenti per farmi tornare. Solo chi vive il quotidiano, lo spogliatoio, può capire. Non ci andava di andare prima e rifarei la stessa scelta. L’Ambasciata anche stanotte, a mezzanotte, siamo stati quasi un’ora al telefono con il Console, noi confidiamo nel loro aiuto.
Siete in contatto con l’Ambasciata? Il club si sta muovendo?
Anche il club sta lavorando per trovare qualche soluzione. Dobbiamo avere pazienza e basta perché ci sono 5 milioni di persone in viaggio per la Polonia, in macchina, quella non è una soluzione. Lo spazio aereo è chiuso. Stamattina nessuno ha avuto contatti con l’Ambasciata.
Quanta paura hai?
Non è questione di paura. Non siamo in vacanza chiaramente, non c’è questo clima ovviamente, ma non abbiamo grande paura. Siamo forse più preoccupati per i nostri parenti e le nostre famiglie che per noi. Io sono fiducioso di natura. Il club ha vissuto questa situazione già nel 2014 e anche nei confronti loro, noi stiamo pensando di andare via, loro devono stare qui perché ci sono i giocatori ucraini anche, è una situazione difficile.
Lo rifaresti?
Lo rifarei ma mi farei sentire in maniera più forte con le istituzioni del calcio ucraino, perché i segnali che venivano da tutto il mondo erano evidenti, non lasciavano spazio a ipotesi diverse, quantomeno da lunedì. La conferenza di Putin, quello che è successo nel Donbass, non è stato recepito nel giusto modo. A me piacerebbe andare a casa quando tutti siano nelle condizioni di poter fare le nostre cose. Non è la gara a chi si mette in salvo prima. Abbiamo vissuto 7 mesi qua, siamo un gruppo. Non è una questione solo nostra.