La Gazzetta dello Sport (A.Pugliese – D.Stoppini) – «Mamma, lasciami i soldi per la merenda». «Va bene, ma non comprare le solite schifezze». «Tranquilla mamma». E via in edicola, per la merenda ci si arrangia, come tutti i lunedì in cui vince la Roma. Eccola, la Gazzetta del 29 marzo 1993, che titola «Signori come Rossi», l’attaccante della Lazio paragonato al campione della Juventus. No, proprio non ci siamo. Al nostro interessa di più pagina 12, «la Roma esce dal mistero», cronaca di un (in)dimenticabile Brescia-Roma 0-2. Vallo a sapere che l’Evento era nascosto nel tabellino: «Esordio in Serie A per il sedicenne Francesco Totti». Oddio, il Bambinello del Presepe era un filo annunciato, perché se del doman non v’è certezza, di quello che si vedeva ogni giovedì in allenamento, dei tunnel e dei tiri al volo, dei sorrisini e della faccia tosta, come potevi non accorgerti?
ORE 17.42 – Quarantadue minuti dopo le diciassette, perché la notte prima era tornata l’ora legale: le partite, tutte insieme alla domenica, iniziavano alle 16 e le vittorie valevano due punti. È in quel momento che parte il calendario d.T., dopo Totti, giusto per dare un riferimento a chiunque oggi voglia fermarsi un attimo al lavoro per ripensare a 25 anni fa. Si scherza, o forse no. Di certo il pomeriggio prima di quel giorno zero il ragazzino, in trasferta con la Primavera ad Ascoli, aveva vinto da solo la partita già nel primo tempo. A Luciano Spinosi, tecnico dei ragazzi, arrivò una telefonata nell’intervallo: «Fallo uscire, deve andare con la prima squadra a Brescia». C’era da capirlo, Vujadin Boskov, allenatore di una Roma senza arte né parte a metà classifica, eliminata dalla Coppa Uefa e con un presidente, Giuseppe Ciarrapico, in galera a Regina Coeli. Il 31 marzo la squadra si sarebbe giocata la vita nel ritorno della semifinale di Coppa Italia col Milan degli Invincibili, eppure battuti all’andata: dunque turnover, parolone appena affacciatosi in Serie A ma così necessario a Brescia. A gara vinta, minuto 87, Sinisa Mihajlovic fa la cosa migliore di una giornata che pure aveva condito con un gol e un assist (per Caniggia). Si gira verso la panchina e a Boskov, il suo padrino,suggerisce: «Fai entrare il ragazzino». A 16 anni, 6 mesi e un giorno iniziava la Storia. «Fu una cosa spontanea, per come lo vedevo in allenamento – ha raccontato nel tempo Mihajlovic –. Dissi a Boskov di buttarlo dentro, lui stava per inserire Muzzi. Francesco lo sa che mi deve una cena, è stato il più grande calciatore italiano di sempre, più di Baggio e di Rivera».
ALTRO MONDO – E qualcosina, Boskov, l’aveva intuito: «Totti è bravissimo e meritava questo premio. Bisogna puntare più sul vivaio che sul mercato», disse zio Vuja quel pomeriggio. Secondo il New York Magazine il 1993 è l’anno che ha cambiato il mondo, quello del primo attentato islamico alle Torri Gemelle, di Nelson Mandela premio Nobel perla pace, di Bill Clinton alla Casa Bianca. Dalle nostre parti Silvio Berlusconi era «appena» un imprenditore, Matteo Salvini un concorrente del «Pranzo è servito», Cinque Stelle solo un modo per classificare gli hotel di lusso, Bettino Craxi usciva dall’hotel Raphael sommerso dalle monetine, Cosa Nostra organizzava l’attentato di via dei Georgofili. Google non esisteva, per le notizie aspettavi il tg e, se proprio non resistevi, spingevi insieme un paio di tastini del telecomando e, puff, ecco le scritte colorate del Televideo. Sì, il Televideo, che molto lasciava all’immaginazione e che di Totti aveva cominciato a scrivere già il 18 febbraio 1993, un’amichevole al Flaminio tra la Roma e l’Austria di Herbert Prohaska. Frammenti di un’Italia che si scambiava le lire e i giocatori al calciomercato. Totti, invece, già volava: «Fui io a uscire per lui, al momento del cambio gli feci l’in bocca al lupo – ricorda Ruggiero Rizzitelli –. Nessuno avrebbe mai immaginato che sarebbe diventato Totti, ma che avesse talento si sapeva. Di solito il giovedì a noi vecchietti non andava di fare molto e allora le minacce nei suoi confronti si sprecavano. Lui però non ci sentiva, era tutto un dribbling e un tunnel, tanto che spesso lo “rinviavamo”, come si dice dalle mie parti. Ma lui si prendeva i calci e ricominciava il giovedì dopo, aveva carattere».
TALENTO – Carattere che ha speso altre 785 volte con la maglia della Roma, dopo quel pomeriggio lombardo. Ha continuamente annaffiato il suo talento con 307 gol, s’è preso gioco degli avversari con quegli occhi dietro la testa, buoni per immaginare un corridoio dove gli altri vedevano un muro. Ha vinto uno scudetto e riscritto una parola del vocabolario: cucchiaio, credete ancora sia una posata? Ha fatto gol in 43 città del mondo, a 62 club diversi e a una nazionale, l’Australia, che gli italiani pensavano fosse terra buona solo per i viaggi di nozze, non popolo in grado di ostacolare la corsa verso il Mondiale 2006. Della Roma sarà sempre il Capitano, eredità che ha materialmente raccolto da Aldair ma nel suo immaginario dall’idolo Giuseppe Giannini: «Esserlo stato del più grande numero 10 della storia della Roma è un orgoglio – ricorda spesso il Principe, il capitano di quel 28 marzo 1993 –. Lo vidi a Trigoria la prima volta a 15 anni, capii in un secondo che era di un altro pianeta». Roma è invece il pianeta che Totti non ha mai voluto abbandonare, pigrizia che gli è costata un Pallone d’oro. Anzi no: l’ha vinto il 28 maggio 2017, commuovendo l’Italia nel giorno dell’addio. Ma questo nei tabellini non lo troverete mai scritto.