Lasciare il segno è sempre stata una sua prerogativa: nel bene o nel male. Ma quando domani Zdenek Zeman tornerà in uno dei suoi vecchi stadi, in pochi lo ricorderanno. Napoli per il boemo è stata una meteora, probabilmente una delle esperienze più difficili della sua carriera. Stagione 2000-2001: mentre a Roma di Capello iniziava la cavalcata tricolore, «Sdengo» plasmava il ritorno in Serie A del club partenopeo, smembrato dagli ultimi due campionati tra i cadetti.
La scelta di affidare la panchina al combattente numero uno del sistema calcio durò appena un paio di mesi: 2 pareggi e 4 sconfitte in campionato più l’eliminazione in Coppa Italia lo condannarono all’esonero (il quinto fino a quel momento) da una squadra che neanche il subentrante Mondonico riuscì poi a salvare dalla retrocessione. Una ferita ancora aperta per Zeman, che in seguito attribuì il suo licenziamento alla guerra di poltrone tra il neo presidente Corbelli e l’ad Ferlaino.
Un’accusa diretta, e mai ritirata, che coinvolse anche la figura del vecchio nemico Luciano Moggi (allora dirigente della Juventus) sui possibili condizionamenti esterni. «Ferlaino – ha raccontato Zeman in tribunale durante le udienze di Calciopoli – mi licenziò dal Napoli dopo otto giornate. Lo stesso presidente avrebbe poi detto che ero stato chiamato a Napoli per volontà di Moggi e che esisteva un progetto del direttore generale della Juventus per distruggermi». Nonostante gli scarsi risultati ottenuti sul campo, il pubblico napoletano non fischiò mai Zeman, riservando insulti e minacce a Ferlaino: gli lanciarono una molotov nel giardino di casa.
A quasi tredici anni di distanza, il ritorno al San Paolo gli regalerà comunque uno scenario diverso. La sfida con il collega Mazzarri lascia spazio a tutte le possibilità: nei quattro precedenti in campionato tra i due tecnici nessuno ha ancora avuto la meglio. Ma la Roma di Zeman non pareggia mai.
Il Tempo – Adriano Serafini