La Gazzetta dello Sport (A.Pugliese) – Uno che ha iniziato la carriera di calciatore con due retrocessioni consecutive (dalla A alla Serie C1 con l’Empoli) e che ha avuto il coraggio di dire no alla prima convocazione in azzurro per giocare uno spareggio per restare in A (con il Piacenza), non può certo avere paura ora di fare il grande salto. Perché nella carriera di Eusebio Di Francesco le difficoltà non sono mai mancate, ma lui è sempre riuscito ad uscirne vincente. O, perlomeno, da sopravvissuto. È successo da calciatore e da allenatore, ma anche da team manager, direttore sportivo e direttore tecnico delle giovanili. Già, perché nei suoi quasi 30 anni di calcio professionistico Eusebio ha fatto un po’ tutto. E, forse, è proprio questo a dargli anche la certezza di poter far bene in questa sua terza avventura a Roma, la consapevolezza di aver studiato e vissuto il pallone ad ogni latitudine. «Ma proprio perché il calcio lo conosco da tantissimo tempo, so che si viene esaltati e poi gettati via in un attimo». E forse ha ragione anche qui, augurandosi ovviamente di sbagliare. Almeno questa volta.
LE DIFFICOLTA’ – Già, perché Di Francesco è stato anche esaltato e buttato via, ma ogni volta si è rialzato più forte di prima. Da allenatore è successo dopo gli esoneri con Lanciano, Lecce e Sassuolo («Mi sono guardato dentro e ho capito dove ho sbagliato. per non rifare poi gli stessi errori. Ma senza perdere mai la voglia di allenare»). Da giocatore proprio a Roma, dove arriva nel 1997 per volere del suo maestro Zdenek Zeman, e dopo due stagioni con il boemo e la prima vissuta con Capello, deve accontentarsi delle briciole nell’anno dello scudetto del 2001. Lui si accontenta, ci mette tutto se stesso, senza mai una polemica. E comunque contribuisce alla vittoria del titolo, il suo unico grande trionfo.
I SUCCESSI – Eppure che fosse un predestinato lo si era capito fin da subito, quando a Sambuceto, in provincia di Chieti, papà Arnaldo decise all’ultimo momento di chiamarlo Eusebio e non Luca (che è il suo secondo nome), in onore della Pantera nera portoghese, il giocatore di cui era innamorato. La stessa cosa era successa con il fratello maggiore, Maurizio, che in realtà doveva chiamarsi Fausto in onore di Coppi. E proprio con Maurizio Eusebio ha iniziato prima ad andare in bici, poi a giocare a calcio. Fino a quando a 15 anni non lo ha voluto l’Empoli. Là dove Di Francesco conobbe anche Luciano Spalletti, il tecnico che gli ha lasciato in dote la Roma. Tra i due c’è amicizia, anche se c’è chi giura che poi non sia così profonda. Da Empoli, però, sono partiti alcuni dei tecnici che hanno lasciato il segno, in un senso o nell’altro, nella Roma. Montella, per esempio. E poi proprio Spalletti. Adesso tocca a lui, a Di Francesco, che finora da allenatore può vantare di aver valorizzato due dei migliori giovani azzurri, Verratti e Berardi. Ma non solo, perché i successi sono arrivati anche sul campo. Come la promozione in B del Pescara poi lasciato al mentore Zeman o il Sassuolo portato prima in A e poi addirittura in Europa.
LA FILOSOFIA – Già, Zeman. Di Francesco si è sempre ispirato a lui, anche se il suo 4-3-3 è più equilibrato e quando serve diventa anche 4-5-1. Ma i tagli sono quelli, l’attacco alla profondità anche, così come gli inserimenti dei centrocampisti. Nella Roma in cui giocava lui era un’abitudine, andava dentro che era una bellezza. Lo chiamavano Turbo. Ora spera di farlo pure da tecnico. Auguri Eusebio, te lo meriti.