La Gazzetta dello Sport (G. Dotto) – Prima ancora d’essere un calciatore che cambia maglia e vola a Istanbul, prima ancora d’essere una (brutta) storia, Nicolò Zaniolo è un sintomo (in quanto tale, parzialmente innocente). Un compendio esemplare del peggio, sintesi da manuale della patologia che sta ammorbando il pallone italiano.
A cominciare dalla vera lebbra, lo smisurato (e sregolato) potere dei procuratori e, di conseguenza, dei loro pupilli. Ognuno ha la sua testa. Ognuno ha il suo ambiente. Nicolò è un ragazzo fragile, emotivo, amorale. La sua testa parte come una mongolfiera. Decolla. Due incidenti in sequenza lo riportano a terra. Scopri che il mondo è una gabbia brutale, hai voglia di spaccare il mondo, intanto ti spacchi tu e la tua testa non sa più dove pescare.
La notte di Tirana il ragazzo infila con destrezza la porta dell’olandese e torna eroe. Il mondo torna al suoi piedi. Sale sul carro del vincitore, cioè sé medesimo, e festeggia come sempre esagerato al Colosseo. Sono in tanti su quel pullman, in realtà è lui solo. Sbornia e onnipotenza. In un mondo normale sarebbe sensato affrontare l’argomento del rinnovo del contratto a sei mesi dalla scadenza, non due anni prima. Quello del pallone non è un mondo normale. Il tormentone si fa tormento.
Nicolò, o chi per lui reclama, cifre che sono spropositi, la società (legittimamente), si domanda. Si domanda? Nicolò o chi per lui si sente sminuito, forse maltrattato. Arriva Dybala e il popolo delira. Delirio oltraggioso. Non ero io la divinità in giallorosso? Tutti tornano a dubitare di me, anche Mourinho dubita, i tifosi dubitano, lo stesso dubito, ma non io devo sapere. Adesso mi fischiano. Devo cambiare aria, strappare e poi cambiare maglia. Una storia esemplare. Mancava solo una cosa per completare il quadro: la lettera d’amore da pubblicare sui social ai tifosi sedotti e abbandonati. Oggi abbiamo anche quella. La lacrima virtuale.