Vucinic s’è fatto male. Guarda caso, s’è fatto male proprio adesso, nella settimana della partita più partita che c’è. Quella di Roma-Juve.
Il bollettino di guerra dice: venti giorni di stop per una lesione muscolare di primo grado al bicipite femorale della coscia destra. Niente Olimpico, niente fischi, solo il calduccio della solare Torino (cit. Zebina, sempre). Quando si dice la sfiga, eh? Sarebbe da dietrologi considerarlo un infortunio tattico. Sarebbe da dietrologi pensare che l’uomo-che-ha-ritrovato-ilsorriso salterà la sfida contro il suo passato. Ricordate? Ma sì, dai, quando era un uomosenza-sorriso! A Roma lo è stato per cinque anni, senza sorriso. E poco importa che da sbarbatello attaccante della provincia salentina fosse salito alla ribalta internazionale, che fosse giunto per due volte alla soglia del tricolore, che avesse vinto due Coppe Italia e una Supercoppa Italiana.
Era triste, punto. «Qui ho trovato il sorriso, quello che mi mancava ultimamente», disse alla sua presentazione in bianconero. Il qui era logicamente riferito a Torino e quell’ultimamente era altrettanto logicamente riferito a Roma. Alla Roma. A quella Roma dove per Luis Enrique (che per commentare quelle parole nemmeno nominò la parola Vucinic, usò una perifrasi: «Voglio solo chi vuole esserci») sarebbe stato titolare e dove, se gli vomitavano addosso insulti, era perché non si possono guadagnare oltre 3 milioni l’anno e poi ancheggiare in campo dinoccolati, spaesati, spauriti per larghi tratti della gara. Della gara: una qualsiasi.
Non importava se davanti avesse il Gubbio o il Real Madrid, non era certo il blasone a fare la differenza. Se a Vucinic andava di giocare, ok. Altrimenti nisba, er Marchese s’è addormito. Quando non gli andava, non gli andava. Eh. Se n’è andato da Roma quasi sdegnato per l’aggressione – spintoni, dicono – alla compagna. Un gesto vergognoso, assolutamente da censurare e basta. Se non fosse che poi i violenti se l’è ritrovati a Torino. Un giorno, prima di un allenamento, l’hanno alleggerito del Rolex. Ma il sorriso è rimasto, pare. Sul carattere, invece, si continuano a nutrire seri dubbi. Il carattere forte, intendiamo. Quello che ti serve per masticare i problemi, tirare fuori le palle quando il mondo ti crolla addosso e uno stadio ti fischia contro. Essere un hombre vertical, questo è il senso.
I dietrologi potrebbero leggere dietro l’assenza del montenegrino a Roma una défaillance psicologica del giocatore. Ma no, il bollettino di guerra parla chiaro. Anche perché vorrebbe tradire le attese di quel neo vate del calcio di Antonio Conte. «Vucinic deve avere fame», si raccomandò qualche giorno prima dello sbarco dell’attaccante sul pianeta Juve. E Vucinic la fame ce l’ha. Solo che stavolta gli ha detto sfiga, s’è fatto male proprio quando avrebbe dovuto affrontare la Roma e l’Olimpico. Com’è che diceva il cardinal Mazzarino? Ah sì: «A pensar male si fa peccato, ma spesso ci si azzecca».
Il Romanista – Daniele Galli