Il Foglio (M.Solani) – Roma. La chiamano “la battaglia dei ponti“, ma Nassiriya non c’entra. Lo scontro, infatti, si consuma tutto nel segreto degli uffici del Campidoglio e della Regione Lazio e ha per terreno il progetto del nuovo stadio della Roma. Quello per cui sindaca Virginia Raggi e vertici giallorossi promettevano di posare la prima pietra entro l’anno e che invece si prepara già ad assistere ad un nuovo slittamento sul termine del 28 dicembre previsto per la seconda conferenza dei servizi. Secondo i tecnici al lavoro sul progetto, infatti, con due sole altre sedute a disposizione è praticamente inevitabile che venga chiesta e votata un’ultima proroga di 30 giorni per provare a sbrigare una matassa ancora più che ingarbugliata. Trenta giorni di tempo ulteriore, insomma, per sciogliere il nodo dei ponti sul Tevere e del sistema viario del nuovo impianto già bocciato in estate dagli uffici del ministero delle Infrastrutture perché ritenuto “insufficiente e inadeguato alle esigenze di trasporto dell’intera area“.
Perché il comune di Roma, nella delibera che ha dato parere favorevole alla realizzazione del progetto secondo il nuovo accordo raggiunto dalla giunta Raggi con la Eumova del gruppo Parnasi, ha “cancellato” dalla lista delle opere pubbliche da realizzare da parte del costruttore anche il ponte di Traiano, due complanari sull’autostrada Roma-Fiumicino con svincolo a Parco de’ Medici e scavalco del Tevere dal costo di circa 100 milioni di euro interamente a carico dei privati secondo il progetto originario approvato da Ignazio Marino. Un’opera sacrificata sull’altare della trattativa fra Comune e proponenti in modo da compensare il dimezzamento delle cubature dell’impianto (e la cancellazione delle torri di Libeskind) e permettere alla sindaca di mostrare alla base grillina sul piede di guerra un risultato da far passare per vittoria contro la “colata di cemento“.
Secondo il Comune e i proponenti, infatti, per assicurare la sostenibilità dei trasporti nel quadrante a cavallo del Tevere basterà il Ponte dei Congressi (rampa a senso unico verso la via del Mare), opera già finanziata dal Cipe per 145 milioni di euro circa ma impantanata nei ritardi della fase di progettazione che non ne permetteranno il completamento prima del 2022. Ossia dopo la prevista inaugurazione del nuovo stadio giallorosso. Sul punto la battaglia fra i tecnici del Comune e quelli della Regione, forti del parere del ministero dei Trasporti, sembra arrivata a un punto morto. Se gli uomini dell’assessore capitolino Luca Montuori continuano a sostenere il progetto sulla base dei propri studi sulla mobilità, infatti, gli uffici dell’assessore regionale Michele Civita non sembrano intenzionati a cedere su un parere che è assolutamente negativo. Anche perché gli studi del Campidoglio si basano su calcoli secondo i quali il 50 per cento del traffico da e per il nuovo stadio si dovrebbe muovere con trasporto pubblico. “Una percentuale assolutamente irrealizzabile – spiega uno dei tecnici della regione – visto che la nuova versione del progetto ha fatto sparire gran parte dei finanziamenti privati previsti per il potenziamento della ferrovia Roma-Lido“.
Come uscire dal vicolo cieco allora? Lo stadio quasi certamente si farà, perché nessuno ha interesse a bloccare l’opera soprattutto con alle porte la campagna elettorale per il Lazio e le politiche, ma presumibilmente alla fine la regione darà il suo via libera con prescrizione. Specificando, cioè, che il ponte di Traiano va realizzato obbligatoriamente. E chi pagherà? Roma e proponenti, come ribadito dal dg giallorosso Baldissoni all’assessore Civita, non hanno intenzione di rimettere mano al progetto, e quindi al portafogli. Il comune di Roma, invece, pare intenzionato a chiedere che una parte dei fondi del Ponte dei Congressi venga “stornata” o che, comunque, il governo intervenga con un finanziamento apposito. Toccherà allora al ministro del trasporti Graziano Delrio e a quello dello Sport Luca Lotti togliere le castagne dal fuoco alla sindaca Raggi. E alle casse pubbliche pagare l’ennesima battaglia ideologica del Movimento 5 Stelle.