Il Messaggero (A.Angeloni) – Così lo ha invocato meno di una settimana fa Mourinho: più spietato, più cattivo, con personalità. Di questo c’era bisogno. Eccolo, Tammy Abraham, più concentrato, più completo, pure più fortunato: difende, attacca, gioca per gli altri e per se stesso, mettendoci pure un pizzico di egoismo che non guasta. Abraham si è svegliato e non si sa se questa sua resurrezione dipenda dalla compagnia che Mourinho gli ha messo vicino: a Venezia è andato a segno e aveva Shomurodov al suo fianco, contro lo Zorya ne ha segnati due e vicino aveva Zaniolo, così come contro il Torino.
Con Nicolò si cerca, si trova, si abbraccia. Tammy ha smesso di giocare solo per la squadra, ora segna e si traveste da trascinatore, facendo gol, come si chiede ad un attaccante. Fino ad ora, quattro in Conference e quattro in campionato. Sta cominciando a dare continuità sotto porta. Abraham piace ai tifosi, innamora la sua espressione mentre canta l’inno e tanti bambini entrano allo stadio con la sua maglia. Quasi bissa la doppietta contro lo Zorya, poi non se n’è fatto niente del rigore che Chiffi aveva fischiato. Sarebbe stata la seconda doppietta di fila, saltata per un fuorigioco millimetrico, di un tallone. Alla fine è stato sufficiente l’unico gol dell’inglese per dare vittoria alla Roma, contro un Torino tosto, abbottonato e pericoloso in ripartenza.