Il Corriere Dello Sport (M.Evangelisti) – E’ diventata una partita. Una di quelle che la Roma non riesce quasi mai a vincere, perché si prolungano, perché non trovano mai un solco diritto in cui incastrarsi, perché sembrano terreni inesplorati e chi veste di giallorosso per qualche motivo non ha mai l’animo dell’esploratore intrepido. D’accordo, le cose cambiano e poi questa dello stadio è una partita diversa, qui politica, lì calcistica. Intorno allo stadio non si corre, si parla e si riflette persino. Ma è una partita miliardaria, perché l’investimento stadio chiama una cifra di 1,7 miliardi. Ognuno gioca le sue carte e muove e i suoi pezzi. Vediamo chi c’è intorno a questo tavolo a giocare, anzi, a giocarsi parecchio. Da questo confronto qualcuno uscirà vincitore. Magari persino tutti: conta più come si sfrutta il risultato del risultato stesso. In politica funziona così.
JAMES PALLOTTA – Presidente della Roma. Per sua scelta di vita, a un certo punto. Voleva restare nell’ombra, ma ha capito ben presto che dalle nostre parti in quel modo si suscitano pensieri oscuri. Ha preso la Roma insieme con un paio di soci nel 2011, nel 2012 si è messo il distintivo di numero uno del club e nel 2014 è rimasto praticamente solo al comando. Troppo solo e troppo lontano, sostiene una parte consistente dei tifosi. I quali hanno calli sullo stomaco e sentono strano che un tizio vada in giro per Boston con la sciarpa giallorossa. Peraltro, è proprio quello che succede nei giorni delle partite maggiori. Di sicuro a Pallotta lo stadio e quel che dovrebbe sorgere intorno interessano. Infatti viene or ora a Roma apposta per incontrare il sindaco Virginia Raggi. Le illustrerà quel che ha capito delle necessità primarie della città e di come intenda affrontarle. Ha promesso 440 milioni di opere pubbliche e 20.000 posti di lavoro, meno esagerato di altri.
VIRGINIA RAGGI – Primo sindaco donna di Roma, storica pioniera del Movimento 5 Stelle sulla frontiera sconosciuta dell’amministrazione di una metropoli. Aveva cominciato in perfetto stile grillino, consegnando al figlio in gioco la poltrona del Comune e dicendo no a tutto. La politica l’ha colta alle spalle. Ora sta cercando di reagire. Intanto le va dato atto di aver sempre considerato il progetto di stadio della Roma per quello che è, un’iniziativa da appoggiare se non sconfina eccessivamente nella speculazione. Sulla misura di questo labile limite si misurerà la sua valutazione finale, che sarà comunque fondamentale a meno che non si voglia aspettare un’elezione più decisamente favorevole. Sinora ha lasciato agli uffici tecnici competenti il ruolo di frenatori. Frenate abbastanza morbide, in attesa degli scontri genuini in Conferenza dei Servizi. Ah, la Raggi è una laziale tiepida ma questo non c’entra niente con la vicenda in argomento.
LUCA PARNASI – Costruttore incaricato della realizzazione del progetto. Non da solo – nessuno potrebbe, data la vastità – bensì in collaborazione con varie ditte italiane ed estere. Soprattutto, è il proprietario del terreno di Tor di Valle sul quale dovrebbe sorgere l’impianto della Roma. Lo ha acquistato per 42 milioni di euro dalla ditta che gestiva l’ippodromo, suscitando l’interesse della magistratura fallimentare. Quello della Roma era già attivo e gli copriva le spalle. Adesso Parnasi ha risolto tutte le questioni pendenti sull’area e ha potuto mettersi a lavorare a tempo pieno su quello che probabilmente è l’affare più importante della sua vita imprenditoriale. E’ anche socio di Pallotta nell’operazione. Tutto regolare, questo è chiaro, ma il punto è: perché l’affare sia fatto il progetto deve andare in porto così com’è o con poche modifiche. Altrimenti il costo dell’investimento diventerebbe scoraggiante, con tutto l’affetto di Pallotta per Roma e la Roma.
IGNAZIO MARINO – Ex sindaco e quindi non più giocatore. Non di questa partita. Sulla quale però c’è il suo marchio. La giunta che guidava aveva in programma il rilancio dell’area di Roma in cui si inserisce Tor di Valle e questo è uno dei motivi, insieme ovviamente con molti altri, per il quale è stato scelto proprio quel sito tanto discusso. Lui e l’assessore Giovanni Caudo hanno il merito di aver reso consistente o ancora più consistente l’interesse pubblico del progetto, costringendo di fatto Pallotta, in un colloquio a tratti drammatico, a legare per trent’anni lo stadio alla Roma e ad aumentare la quota di investimenti destinati alle opere per la mobilità. Adesso è pesante la sua eredità politica, visto che la caduta della giunta precedente ha portato i 5 Stelle alla guida della capitale d’Italia e che il suo stesso schieramento politico di riferimento aveva da tempo messo Marino sull’orlo della scacchiera, pronto a essere eliminato dalla prima pedina di passaggio.
NICOLA ZINGARETTI – Presidente della Regione Lazio. Lui sì che è assolutamente in gioco, anzi, è al centro della strategia di tutti. Come arma offensiva, come bersaglio, dipende da che parte si sta. Lui stesso non sa esattamente come schierarsi ma il talento tattico lo mantiene in partita da protagonista. Non è contrario al progetto di stadio e di tutto il resto a prescindere, però non intende neppure metterci sopra le impronte digitali e magari restare incastrato. Il suo piano consiste nel mettere i 5 Stelle di fronte alle proprie responsabilità, costringerli a scegliere. Per questo ha rinviato di giorno in giorno l’apertura della Conferenza dei Servizi, che compete appunto alla Regione. Non era in rapporti particolarmente caldi con Marino, non può esserlo non gli amministratori romani di oggi. Con Pallotta ha avuto un contatto abbastanza fugace. Dello stadio gli interessa il giusto, soprattutto adesso che è rimasto pilastro della politica in tempi che sanno di rivoluzione culturale.
PAOLO BERDINI – Vittorio Sgarbi l’ha urlato, lui lo ha detto con voce decisa, il concetto era lo stesso: questo progetto è uno scempio. Scempio è parola berdiniana, Sgarbi ne ha usata un’altra. Comunque anche il tocco delicato dell’assessore all’urbanistica, scrittore, docente, progettista ha avuto i suoi effetti, come il dito in una ferita. Non è che non voglio lo stadio, non lo voglio lì, ha precisato in seguito Berdini. Per poi passare attraverso varie sfumature di distinguo e condizioni. Tagliamo corto. L’assessore è contrario, gli piacerebbe vedere un progetto di stadio che coinvolga soltanto la mobilità pubblica circostante e non preveda la realizzazione di un quartiere a corredo. Ha le sue ragioni, così come ne hanno i suoi compagni di amministrazione a essere indecisi e a guadagnare tempo. Perché alla fine non è semplice per nessuno girarsi dall’altra parte quando ti fanno annusare milioni che in una città fallita, l’aggettivo è di Berdini, possono fare comodo.
DAN MEIS – L’architetto che ha disegnato lo sgorbio. Per alcuni è uno sgorbio, per altri è bellissimo. Anche gli artisti sanno spaccarsi in fazioni, non solo gli elettori e i politici. Tace da parecchio tempo, si appresta a farsi tornare la voce per difendere il progetto, il più importante della sua carriera (lo ha raccontato lui, quando apriva bocca), adesso che si comincia a discutere del merito. Rappresenterà anche i colleghi che hanno lavorato a ciò che sta intorno allo stadio, Daniel Libeskind per il complesso urbanistico ed ecologico, i vari studi che hanno tracciato le opere pubbliche circostanti, i ponti, le stazioni della metro. Meis ha messo le mani e la firma su impianti statunitensi considerati all’avanguardia, per il football, per il baseball, ha prodotto in Giappone, è richiestissimo in Italia. Ha visto il Colosseo e ha tentato di reinterpretarlo. Giura che funzionerà e non importa se lungo due millenni tanti suoi colleghi siano finiti divorati nel tentativo.