Corriere della Sera – “Un arbitro deve prendere una decisione in pochi attimi, a volte anche in un ambiente ostile. E assumersene la responsabilità. Che cosa lo spinge? Un profondo senso di giustizia. Quando si gioca e s riceve un calcio si vorrebbe restituirlo, ma c’è l’arbitro. Arriva una punizione, magari un cartellino e si continua a giocare. In pace. Grazie alla giustizia si raggiunge la pace”. A San Valentino è stato eletto il nuovo presidente degli arbitri italiani, Alfredo Trentalange, 63 anni, torinese, ex internazionale con 197 partite in A e 70 da internazionale.
Sente la necessità di comunicare?
Si. Ma dobbiamo imparare a usare i social e far conoscere la persona dietro ogni arbitro. E poi, escluse quelle che chiamano in causa il giudice sportivo, dare chiavi tecniche delle scelte. Rocchi ci ha fatto fare passi avanti, la direzione è quella.
Che cosa pensa della Var a chiamata, magari una per allenatore?
Non si conosce ciò che non si sperimenta, però non decide l’Aia ma l’Ifab. Siamo disponibili a essere un laboratorio permanente. Rincorriamo sempre il calcio, che andrebbe anticipato, mi permetto di raggiungerlo.
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Un’altra urgenza è il mondo arbitrale femminile, l’unico a crescere: da 1.690 attive nel 2019 a 1.724 nel 2020.
Nel comitato nazionale c’è una donna (Katia Senesi), perché non ci sono solo ex arbitri di A. Siamo in grande ritardo e servono investimenti. Le donne sono avanti, l’alibi atletico non regge, sono più brave per concentrazione e studio. Servono formazione e attenzione dedicata. E zero pregiudizi.
Il miglior arbitro oggi?
Il nostro Orsato.