Era il primo giorno del corso allenatori a Coverciano ed ogni candidato era stato invitato a presentarsi con una breve sintesi della propria carriera. Totti si alzò e disse: “Sono Francesco Totti e mi hanno fatto smettere“. Quelle poche parole appaiono rapide e illuminanti, centro c’era tutto: la consapevolezza del proprio ruolo e del proprio talento, l’accusa esplicita nei confronti di una società, la Roma made in Usa che, a suo avviso, non lo ha mai amato. Dopo l’aver smesso di giocare a pallone c’era solo questo, la noia e la fatica di un nuovo mestiere difficile da imparare, c’erano le complessità e i sotterfugi di un ambiente che sotto i riflettori e lontano dal talento vive di lotte di potere e, spesso, di colpi bassi, ma c’era soprattutto la malinconia del tramonto. Da domani i tottiani rinfacceranno agli americani il ruolo di Baldini, l’ipocrisia di Pallotta e le scelte di Spalletti. Si sentiranno rispondere quanti, in questi mesi, a Trigoria e non solo, hanno vissuto con insofferenza la vita mondana dell’ex Capitano, sempre pronto a mettere la Roma in secondo piano a favore di qualche evento personale: la presentazione di un libro, le riprese di una docufiction, i tornei di calcetto. Lo scrive La Repubblica.