L’ha fatta volare a inizio stagione, l’ha rilanciata nel momento più difficile. Totti torna sulla copertina giallorossa e rispuntano i discorsi (un po’ noiosi) di sempre. «Si può dipendere da un giocatore di quasi 38 anni?» è il quesito post Roma-Udinese, sulla base di numeri che raccontano una verità incontestabile: con il capitano in campo sono arrivati 41 punti in 16 partite (media 2.53) , contro i 20 conquistati nelle undici partite (media 1.82) che ha saltato in campionato.
Garcia si avvale della facoltà di non rispondere alla domanda del giorno e si gode il rientro del suo giocatore più decisivo. A prescindere dall’età e gli acciacchi. Se c’è Totti in tanti giocano meglio. A partire dalla freccia Gervinho che ha bisogno di essere lanciata con frequenza e precisione. Il ritorno del capitano è la medicina migliore per guarire i mali di una squadra stanca nella testa e nelle gambe. E il messaggio giusto da lanciare a un Napoli non ancora domo e ultimamente parecchio fortunato. Non c’è casualità, invece, in quello che il capitano romanista riesce ancora a fare in campo. La rete segnata all’Udinese lo fa salire a 233 in serie A (288 in carriera), in attesa di tagliare un altro traguardo niente male: giocando altre tre gare Totti metterà insieme 700 presenze in giallorosso, una roba che possono vantare in pochi.
Il numero 10 non ha alcuna voglia di fermarsi. A tal punto che rinuncerebbe a una parte delle vacanze estive per giocare il Mondiale in Brasile. «Cassano lo porterei. Vado anch’io? Se sto bene perché no» ribadisce Totti, ancora in attesa di un segnale di Prandelli che ha seguito la gara con l’Udinese dalla tribuna dell’Olimpico. Il ct, aspettando notizie certe sul recupero di Pepito Rossi, sembra più orientato a dimenticare le bizze di Cassano e puntare eventualmente sul barese. Ma come farebbe a gestirlo insieme a Balotelli e Osvaldo, non proprio due chierichetti? Totti è una splendida carta di riserva a cui qualcuno in federazione continua a pensare. Ora tocca a Prandelli decidersi e alzare il telefono. Se la chiamata non arrivasse, il capitano romanista se ne farebbe una ragione. Anche perché non gli mancano obiettivi per i prossimi due anni, gli ultimi di carriera stando al contratto. «Lo scudetto è andato al 99%. Il prossimo anno – dice a Il Romanista – la squadra deve restare questa, allenatore compreso. È un gruppo unico come quello del 2001». E Pjanic? «Non sto qui a dire ai giocatori di rimanere, è giovane, è fenomenale e trovarne così in giro per il mondo non è facile. Certo, una battuta gliela faccio spesso, lui mi dice “si si tranquillo”».
Sperando di non fare la fine di quel «tranquillo» lì, la Roma intanto deve difendere con le unghie il secondo posto. Le restano tre lunghezze di margine sul Napoli e 82 minuti in più da giocare con il Parma, oltre al non secondario vantaggio di poter arrivare alla pari a fine torneo e prendersi il secondo posto. Cinque gare da giocare in casa, compreso il recupero del 2 aprile contro Cassano & Co., sei in trasferta per i giallorossi, dal quoziente di difficoltà di difficile valutazione: più ci si avvicina alla fine della stagione, più alcune gare possono perdere di significato. Ma questo vale anche per il Napoli, che incontrerà come la Roma una Juve virtualmente scudettata. La differenza possono farla anche gli infortuni. Benitez dovrà gestire le forze in caso di passaggio del turno in Europa League e pure della finale di Coppa Italia, Garcia si augura di aver «già dato» e aspetta con ansia il rientro di De Rossi fra due gare col Torino. Un capitano tira l’altro per andare in Champions.
Il Tempo – A.Austini