Le sconfitte nel calcio ci stanno. Ma il fallimento è un’altra cosa. E a Lecce abbiamo visto da vicino il fallimento del progetto Roma. Terribile, concreto, si poteva respirare. Una squadra senza guida. Un fantasma in panchina. Una società senza proprietari. Perché, se ci fosse uno Zamparini, Lotito, De Laurentiis qualsiasi (senza scomodare Moratti e Berlusconi), sarebbe certamente intervenuto.
Invece niente. Dichiarazioni di routine di un allenatore frastornato e assente in campo. Mai visto scene così. L’allenatore muto in panchina e i giocatori disposti in campo alla rinfusa. Delle due l’una: o la squadra non segue più Luis Enrique, oppure lui ha la testa altrove. In tutti e due i casi, la proprietà interviene in un modo soltanto. Sostituisce il tecnico e prova a dare una sterzata, prima che tutto si perda e si deteriori l’ambiente in modo irreparabile. Ma la proprietà chi è? Non c’è. Ci sono dirigenti che gestiscono la Roma e hanno ripetuto che l’allenatore è formidabile. Pensano che siamo pazzi? La squadra non ha nessuna idea di profondità in attacco (tranne quando gioca Totti, perché la dà lui, per istinto) e non sembra allenata neppure per una semplice diagonale difensiva. Per la seconda volta (dopo Bergamo), dobbiamo ringraziare il romanista sulla panchina avversaria, che ci ha evitato ulteriori umiliazioni.
Il nostro allenatore si è limitato a sperare che oggi, con l’Udinese, andrà meglio. (…). I dirigenti hanno aggiunto che forse i giocatori non hanno abbastanza carattere per la Roma. E loro – chiediamo – ce l’hanno? Chissà. Stasera torna Totti, che carattere ce l’ha e siamo più che mai ai suoi piedi, col fantasma in panchina.
Il Messaggero – Paolo Liguori