La Gazzetta dello Sport (A.Pugliese) – Si dice che nella simbologia dei numeri il 28 esprima l’energia del 2 e le vibrazioni dell’8 e che mischiando il tutto non possa che uscirne ricchezza, autorità e leadership. La storia giallorossa di Francesco Totti nasce il 28 marzo 1993 a Brescia e finirà oggi, 28 maggio 2017. In mezzo più di 24 anni di aneddoti, storie, ricordi. E frasi. Ogni volta una stilettata. O una battuta, capace di strappare un sorriso. Più o meno da leader, anche se il 23 dicembre 2006 ammise che «la parola leader non mi è mai piaciuta. Mi sento un giocatore importante, ma non perché sono Totti devo essere considerato più degli altri».
I GOL – In questo fiume di ricordi ci sono ovviamente i gol. Come il primo dei 307, al Foggia, il 4 settembre 1994: «Mio zio mi aveva promesso una mountain bike. La desideravo, ho giocato pensando alla bici». Proprio quella bicicletta su cui Francesco ha idealmente pedalato a lungo. Anche a Madrid, dove il 20 ottobre 2002 la Roma battè quel Real che lo ha corteggiato a lungo con un suo gol («Mi sono regalato un sogno. Scudetto a parte, questa è la vittoria più bella della mia carriera»).
GLI ALLENATORI – Ma se Totti è diventato Totti lo deve a due allenatori: Mazzone e Zeman. Il primo lo bastonava quando ancora sbagliava i congiuntivi, il secondo gli ha trasmesso sicurezza. «Mazzone mi controllava, mi faceva chiamare da Menichini per sapere se ero a casa. Un maestro, con le sue bacchettate mi ha insegnato a diventare calciatore», disse ricordando poi il 17 dicembre 1995, Napoli-Roma 0-2: «Tirai invece di passare a Delvecchio. Mazzone si imbestialì: “Non ti faccio più giocare neanche in Serie C”». Con Zeman, invece, il discorso si avvio così: «Quando ho saputo che Sensi voleva rinnovargli il contratto, ho chiesto di essere ceduto. Un anno tutto sto’ lavoro va bene, due no…», disse il 23 settembre 1997. Poi fu amore, tanto che il 20 maggio 2012 definì il boemo «unico ed inimitabile. Il calcio». Non esattamente la stessa stima che aveva per Carlos Bianchi, che lo voleva mandare in prestito alla Samp: «Forse è stato tradito dalle tante vittoria in Argentina, credeva bastassero per fare bene in Italia. Con lui ero sul punto di lasciare la Roma. Mi davano fastidio le critiche sul lato umano. Diceva che non lo ascoltavo, ma siamo sicuri che ero io a non capire?». Francesco si salvò con il torneo Città di Roma del 1997 ed i gol a Borussia Mönchengladbach ed Ajax, allontanando il fantasma di Litmanen. E ringraziò Franco Sensi: «Mi ha dato il cuore e l’anima. A Bianchi che gli disse “O Totti o me” lui rispose: “Scelgo Totti”. Mi considerava un figlio, non lo dimenticherò mai».
LE POLEMICHE – Ma Totti è stato anche spesso al centro delle polemiche. All’inizio per il suo essere romano: «Mi sfottono per l’accento. Se parla Valentino Rossi, con il suo dialetto, tutti ridono, se parlo io sono un coatto – disse il 29 luglio 2002 –. Forse dispiace che sia a Roma. Il potere del calcio è al Nord, noi romani siamo viziati e pigri. La pensino come vogliono, io sono nato romano e romanista. E così morirò». Poi per le polemiche con l’Inter («Lo scudetto lo abbiamo perso noi, ma prima ce ne hanno rubati due», disse il 20 luglio 2010) e la Juventus: «Hanno tutti paura di parlare, ma io sono stufo. Ti passa la voglia, il calcio è altro. Solo in Italia vai allo stadio e sai già il risultato. Sabato (8 marzo 2005, ndr) eravamo 11 contro 14. Il peggiore in campo? Racalbuto». Concetto replicato nell’ottobre 2014: «Da anni è così. Non so se siamo stati battuti dall’arbitro, di certo non dalla Juve. Dovrebbe giocare un torneo a parte». Ed infine per le scelte: «Ho fatto più di 200 gol, chi mi critica non capisce di calcio. Un altro centravanti? Magari arrivassero Toni o van Nistelrooy», disse nel 2008. Il primo poi arrivò.
LE GIOIE – E poi la felicità, come lo scudetto: «È fantastico, indescrivibile. Ci ripaga di tante amarezze e dimostra che qui si può lavorare anche meglio che altrove, visto che c’è il sole e una città fantastica», disse il 17 giugno 2001, replicando poi il 19 agosto, dopo la Supercoppa: «Al Pallone d’oro ci tengo, ma se posso scelgo la Champions. Vedere una città impazzita di gioia ti regala sensazioni indescrivibili». Come le vittorie nei derby: «È quello dei sogni, che ho sempre voluto», disse il 13 marzo 2011, giorno della sua prima doppietta alla Lazio, dopo aver sofferto per anni: «I laziali mi hanno massacrato, scrivendo sul mio palazzo anche “antico gay” – dopo l’ennesimo derby perso nel 1997 –. Prima o poi mi capiterà di vincere e farò una festa indescrivibile». Quella di stasera non sarà così, forse anche per causa di Spalletti: «Da lui mi aspetto correttezza e che mi dica la verità», disse alla Rai il 22 febbraio 2006. È stato l’inizio della burrasca….