La Stampa (G.Zonca) – Difficile tenere al guinzaglio la nostalgia davanti all’ultima partita di Totti. Ultima presenza nel suo stadio, con la sua maglia, nella sua squadra, davanti alla sua curva. Il futuro è figlio di una serie di sottintesi e rancori che non ha nemmeno senso decifrare in questo addio un po’ troppo melenso, diventato quasi tossico in mesi di tranelli e scortesie reciproche. Niente di importante: stasera, dopo il Genoa, ci sarà un preciso momento in cui per fortuna tutto questo sparirà e le parole che non ti ho detto saranno seppellite da quelle che restano. L’eredità del capitano. Non sono tutti vocaboli ostinanti nonostante la stagione da reduce. Il lessico associato a Francesco Totti, ex Pupone cresciuto bandiera, ha cardini precisi, i termini portanti sono legati alla fedeltà. La Roma e Roma i più evidenti di tutti, ma nemmeno al primo posto. Si parte da Lo sceriffo, nomignolo affibbiato a papà Enzo che di parole non ne ha mai usate tante. Solo sguardi, cenni collaudati su intese pratiche. Totti viene da lì, da quella comunicazione senza fronzoli che ha bisogno di confidenze assolute. Al massimo di barzellette surreali. Per questo si è circondato di amici certi, dei soliti noti: famiglia stretta e cerchia ancor più piccola. Per questo quando ripercorre la sua popolata carriera ricorda sempre gli stessi nomi. Giannini, il giocatore che gli ha passato il numero e i gradi, Mazzone l’allenatore che lo ha lanciato, De Rossi, il compagno che raccoglie il lascito, Buffon, il rivale a cui consegnare ammirazione e ricordi, Vito Scala, l’ombra, il custode. I riferimenti non sono cambiati con il tempo, la famiglia sì, si è allargata, è arrivata Ilary e le nozze in diretta tv che si sono trasformate in un matrimonio privatissimo. Poi i figli e un’altra squadra in cui essere il capitano.
STRASCICHI INDOLORI – Da oggi la Roma cambia indipendentemente dalle scelte di Totti ed è la prima volta che succede: i destini, comunque sia, si dividono. Soddisfazioni, magie, musi e rimpianti non saranno più legati alla faccia di Totti. Si apre una nuova era per entrambe le parti, la Roma non deve più confrontarsi con il suo totem e il capitano non dovrà più portarsi dietro la Roma ovunque vada. L’acidità associata a Spalletti non resterà in circolo quanto la soddisfazione per lo scudetto vinto nel 2001, poco in un percorso tanto importante, abbastanza se abbinato al Mondiale festeggiato con il tricolore legato in testa. Tanto se unito ai sorrisi che ancora strappano i cucchiai, quei rigori tirati come fossero scherzi, battute che troncano il discorso. E non serve spiegarli o definirli, si raccontano da soli. Il sintetico Totti in realtà ha già salutato tutti con un selfie geniale. Una foto che ha girato il mondo dopo il pareggio in un derby con celebrazione muta. E sontuosa. Dalla grossolana maglietta «vi ho purgati ancora» all’essenziale autoscatto. Estasi pura, tanto che persino i laziali, la settimana scorsa, hanno reso omaggio con uno striscione dedicato al nemico impossibile. Andarsene dopo il selfie da Oscar sarebbe stata l’apoteosi ma è difficile congedarsi sugli applausi: creano dipendenza, annebbiano il giudizio. E del resto i saluti strascicati aggiungono parole, ma nessuna che pesi. Restano le presenze, a oggi 618 in campionato, un lungo viaggio di pochissime fortunate frasi. Francesco Totti lascia la Roma senza alibi e i romanisti senza scuse, con lui hanno vinto e sognato. Senza, c’è tutto un nuovo vocabolario da imparare.