Ci sono due realtà che procedono parallele, come due binari, per quanto riguarda lo Stadio della Roma. Una parla di un’inaugurazione nel 2017, rose (giallo)rosse e spalti gremiti, qualcuno azzarda anche Francesco Totti in campo, e se servissero solo due anni per l’inaugurazione non sarebbe neanche un’idea profana. Questa realtà parla di trivellazioni già in atto, prime pietre posate e infrastrutture in via di realizzazione grazie alla benedizione del Sindaco Marino.
L’altra realtà parla di cinquecento milioni di euro da reperire anche con una certa fretta per far decollare il progetto, e di un braccio di ferro con il Comune per la definitiva certificazione di pubblica utilità, necessaria per rendere davvero fattibile la costruzione dell’impianto e delle opere di “contorno”. Marino da una parte ha un approccio ciclopico con il progetto, nel senso che in pratica ha un occhio solo, puntato esclusivamente sulle opere pubbliche che dovranno accompagnare l’edificazione dello Stadio della Roma. Un problema che Pallotta, Pannes e Parnasi vorrebbero trattare come il più caratteristico nodo gordiano: un taglio netto e via, con la possibilità di fare business, quello vero e che in Italia è stato sempre frenato dalla mancata realizzazione della legge sugli stadi.
A fine marzo, Caudo e Pucci (gli assessori all’urbanistica e ai lavori pubblici) da una parte, Pannes e Pallotta dall’altra, non hanno trovato l’accordo sperato, visto che i costi complessivi, per realizzare davvero lo stadio a Tor di Valle, sono saliti ai cinquecento milioni di cui sopra. Dei quali duecento relativi alle opere “strategiche”: per far sorgere lo Stadio della Roma nella zona del fu ippodromo, occorrono: prolungamento della metro, ponte pedonale fino alla stazione ferroviaria,unificazione di Via del Mare e Ostiense (l’aspetto che preoccupa di più gli americani, nella fattispecie,) e il collegamento alla Roma-Fiumicino. Queste sono le opere che il Comune di Roma chiede di realizzare subito, nella cosiddetta prima fase del pr ogetto operativo: quello che Mark Pannes ha lasciato ancora chiuso nel cassetto, considerandolo troppo oneroso rispetto alle richieste del Comune, che se non si vedrà soddisfatto, non concederà la pubblica utilità.
Dunque due binari paralleli: il Comune da una parte, la proprietà giallorossa dall’altra. Tor di Valle da una parte, Tor Vergata dall’altra, perché, come illustrato nella nostra inchiesta, la fattibilità delle opere pubbliche nella zona universitaria sarebbe estremamente più semplice e meno onerosa. Il Sindaco Marino per trasformarsi da ciclope a elastic-man, e girare la testa a 360°, andrà però convinto in maniera adeguata, visto che sul progetto dello Stadio a Tor di Valle ci ha messo faccia ed energie che non possono or a essere archiviate in un imbarazzante nulla di fatto. Di sicuro una figura strategica è anche quella di Parnasi, sul quale la giunta comunale punta per avere sempre il polso della situazione dell’opera in corso di realizzazione. Un progetto che era stato presentato in maniera cristallina a Pallotta & Co., e al momento della presentazione, nel corso della quale erano stati profusi baci e abbracci tra pubblico e privato, il che aveva fatto pensare a una situazione già definita. Dalla monorotaia si è passati al binario nettamente diviso quando si è arrivati a comprendere le problematiche che l’area di Tor di Valle presentava.
Nella precedente inchiesta pubblicata su questa testata, “Cemento italoamericano”, si era parlato dell’esposto-denuncia che il comitato dei residenti di Tor di Valle aveva presentato, in cui ci si opponeva al rischio speculazione su un’area che aveva bisogno estremo della realizzazione di opere pubbliche, per sostenere l’impatto di un’opera imponente come lo Stadio della Roma. E’ stato presentato uno studio di fattibilità che sembra ora estremamente combaciante con le richieste d’investimento che il Comune sta chiedendo alla Roma. In più, c’è la questione ancora aperta dei terreni di Tor di Valle. Come si leggeva sull’articolo di Giorgio Migliore, “Da qualche anno l’ippodromo di Tor di Valle è chiuso e l’area intorno ad esso è stata lasciata degradare. A oggi risulta che già 547.015 mq sono di proprietà della società proponente Eurnova, mentre altri 451.780 sono riconducibili ad una Società che, fino ad aprile 2014, risultava con sede legale in Lussemburgo. (…) Sulla quota dei terreni di proprietà della Società “lussemburghese” i cittadini del Comitato Salviamo Tor di Valle dal cemento ritengono che sia necessario chiarire questo aspetto: nel momento in cui il Consiglio Comunale avrà riconosciuto l’”interesse pubblico” alla realizzazione del “Business Park”, il proponente, cioè la Società Eurnova del costruttore Parnasi, avrà diritto ad espropriare l’area di proprietà della Società “lussemburghese” al prezzo di mercato, consentendo a detta Società di realizzare un profitto di circa 250 milioni di euro. La Società “lussemburghese” infatti ha acquistato il terreno quando, ben prima dell’autorizzazione a realizzare il “Business Park”, non valeva granché, in quanto terreno agricolo, ma lo stesso terreno, una volta che il Consiglio Comunale avrà deliberato il riconoscimento del “pubblico interesse” al “Business Park”, avrà un valore di gran lunga superiore. Tale valore è da noi approssimativamente calcolato in 250 milioni di euro che corrispondono all’attuale prezzo di mercato di un terreno di uguale misura cui siano stati concessi i diritti edificatori. Sarebbe interessante conoscere chi sono gli azionisti di questa Società “lussemburghese”. Vicende che si stanno accavallando e che stanno convincendo Pallotta e Pannes a prendere in considerazione un piano B: resta da capire quante fiches Marino abbia piazzato sul tappeto verde di Tor di Valle, e quali conseguenze comporterebbe scoprire che si è trattato solo di un estemporaneo bluff.
Nuovo Corriere Laziale – F. Belli