Il Tempo (G.Giubilo) – Sono sempre momenti toccanti, quelli dell’addio. Ma più intenso è il sentimento quando a prendere congedo dall’agonismo è un guerriero autentico, uno che ha dato tanto al calcio e alle maglie che ha indossato e, soprattutto, onorato al meglio. Si prende il meritato riposo e va a godersi gli anni che il sudato benessere gli ha propiziato, Walter Samuel. A trentotto anni, ha stabilito che Basilea sarebbe stata la tappa conclusiva di una carriera ricca di trionfi e di gratificazioni importanti.
In Italia, era giunto agli albori del terzo millennio, dopo i primi anni vissuti nel campionato argentino, prima con il Newell’s Old Boys, poi con il Boca Juniors. Quattro stagioni nella Capitale, con attestati di stima che non avrebbero manifestato cedimenti. Perché Samuel non aveva impiegato molto tempo per conquistare il cuore dei tifosi, anche se l’esordio in Coppa Italia con l’Atalanta era stato accolto da fischi e insulti. Il malumore dei romanisti era accentuato dalla conquista dello scudetto da parte della Lazio nella stagione precedente. Da cronisti, gli avevamo assegnato il marchio di fabbrica: «Non voglio storie», traducendo in termini edulcorati l’originale espressione, più fedele al vernacolo trasteverino. I suoi rinvii in tribuna, senza concessioni allo stile raffinato, erano un sollievo per tutti i tifosi, che puntualmente erano indotti alla sofferenza dai ricami leziosi di altri interpreti, troppo spesso forieri di guai grossi per la porta romanista.
Il suo contraltare sulla linea difensiva era Vincent Candela, che indulgeva alla giocata elegante anche nei pressi della sua area di rigore. Per non parlare dei dribbling e dei ricami di Pizarro, che quando prendeva un pallone, creava allarme rosso per i suoi compagni della terza linea. Con la partenza di Samuel, era cominciato l’esodo che avrebbe segnato la seconda gestione della dinastia Sensi, dopo la scomparsa di Franco. Poco fortunata la sua unica stagione al Real Madrid. Per la dirigenza «blanca», il suo piede era troppo ruvido. E così, lungimiranti, lo sostituirono con il portoghese che ancora tratta il pallone come un fabbro.
Gli anni della gloria autentica sarebbero arrivati con il trasferimento all’Inter. Agli ordini di José Mourinho, Walter Samuel avrebbe contribuito alla conquista dello storico «triplete», firmato dall’Inter a spese delle più quotate protagoniste dell’Europa del calcio. Lunga fedeltà alla maglia nerazzurra, ma quando arrivava a Roma da avversario, non venivano mai meno le manifestazioni di affetto da parte di un tifo che non lo aveva dimenticato. Un tifo che avrebbe voluto fortemente tanti giocatori con i valori e il temperamento sempre testimoniato sul campo da «The Wall», il muro. Un muro che in realtà non è mai crollato, perché Walter ha tenuto fede al suo nomignolo fino alle ultime stagioni di una carriera che vanta pochi paragoni e che ha lasciato ricordi bellissimi da parte dei sostenitori che ha gratificato con la sua professionalità, dovunque sia andato.