Il Tempo (D. Di Santo) – Il termometro della popolarità di Blatter e della Fifa negli Stati Uniti è rappresentato dai risultati al botteghino di United Passions , in Italia trasmesso in tv col titolo La grande passione . Il polpettone melò sulla nascita della Federcalcio internazionale, finanziato dalla stessa Fifa con ben 17 milioni di sterline, nel primo weekend nelle sale americane – solo dieci, in verità – ha incassato 607 miseri dollari. Una settantina di spettatori in tutto, con il record negativo fatto segnare da un cinema di Phoenix, Arizona: un solo biglietto staccato. Non sono bastati Tim Roth nei panni di Joseph Blatter e Gerard Depardieu in quelli di Jules Rimet per far decollare la pellicola che aveva provato a nobilitarsi a Cannes per poi essere stroncata dalle critiche.
Tra i meno teneri il Guardian : «Un’assurda auto-agiografia più appropriata per Scientology o la setta del reverendo Moon». Ha un che di cinematografico anche l’autocandidatura di Diego Armando Maradona alla vicepresidenza della Fifa scossa dal terremoto giudiziario partito dagli Usa e che ha visto – finora – sette arresti per corruzione e le dimissioni di Sepp Blatter all’indomani dell’ennesima rielezione alla guida del calcio mondiale. «Se il principe Alì vince ho molte chance di diventare vicepresidente», ha detto il Pibe de Oro, nemico giurato di Blatter dai tempi della squalifica a Usa ’94. Maradona è tra i primi sostenitori di Al-Hussein di Giordania, unico candidato allo scorso congresso Fifa oltre al presidente uscente, ritiratosi dopo la prima votazione. «Se arrivo io ripuliamo tutto. Ma non andrei lì con sete di rivincita», ha assicurato il fuoriclasse secondo cui Blatter ha lasciato «perché ha paura dell’Fbi, della polizia svizzera e che lo ammanettino alla Fifa». Maradona ha una parola buona per tutti. Da Michel Platini («mi detto a Dubai di aver “sistemato” 167 partite», frase poi smentita da un assistente del Pibe de Oro: «Platini si disse rammaricato perché era venuto a sapere che vi erano state combine») a Luis Figo («meno affidabile di Bernardo, l’amico di Zorro»).
Le autorità americane sono al lavoro su una nuova ondata di arresti. Sul tavolo le presunte tangenti pagate dal Sudafrica per ottenere il mondiale 2010 – che misero fuori gioco il Marocco – e in generale tutta l’attività degli ultimi 24 anni. L’epicentro del sisma è la Concacaf ma lo scandalo, nei suoi effetti giudiziari, sportivi ed economici, ha dimensioni globali, a partire dalle assegnazioni di Russia 2018 e Qatar 2022 che rischiano di essere annullate. L’ex collaboratore di Havelange e Blatter, Guido Tognoni, ha detto alla Bbc che russi e qatarioti «potrebbero aver pagato» perché «per molti anni nella Fifa si potevano raggiungere risultati solo coi soldi in mano». Per il ministro dello Sport di Mosca, Vitaly Mutko, non c’è motivo per revocare l’assegnazione perché l’obiettivo delle indagini è «infliggere un danno politico e d’immagine alla Russia». Una guerra fredda del pallone che vede scendere in campo anche Barack Obama. «Il calcio è un enorme business che ha bisogno di integrità e trasparenza», ha detto il presidente Usa al termien del G7 in Baviera. Il tema è caro al premier britannico David Cameron, che aspirerebbe proprio alla Coppa del mondo 2022. «La corruzione danneggia la credibilità delle istituzioni», ha detto il primo ministro che vede un prezioso alleato nella cancelliera tedesca Angela Merkel.