La Gazzetta dello Sport (V.D’Angelo) – L’urlo di esultanza al gol alla Germania nella finale di Spagna ’82 fu simbolo della rinascita italiana. Erano anni difficili per il Paese e quel Mondiale vinto contribuì a riunirlo. Marco Tardelli era stimato da tutti i tifosi, anche da quelli avversari, per via della sua sportività e del rispetto per gli altri. E oggi non si rivede in un calcio che sembra aver perso qualsiasi valore. «Non fu il mio urlo a riunire l’Italia in un momento delicato, ma la nostra vittoria. Il calcio è metafora di vita: quando le cose sono belle si cerca di prendere la positività del momento per farne altre…».
Servirebbe qualcosa di positivo allora vista l’ultima settimana. Partiamo da Roma e dalla «goliardata» dei tifosi della Lazio?
«Non sanno cosa significa goliardia, probabilmente. Credo che in Italia siamo un po’ allo sbando. In tutti i luoghi si parla solo a voce alta, ci si offende, si cerca di raggiungere gli scopi accusando e non facendo. E purtroppo questa cosa parte già dall’alto, dalla politica. La politica fa da esempio e sembra che tutto sia lecito. E non c’è una regola che può bloccare questa deriva. O meglio, ci sarebbe ma non sembra esserci la voglia di bloccarla. Chi attacca manichini impiccati andrebbe condannato. Punto».
Forse anche chi ha insultato Muntari a Cagliari?
«Quello che è successo è allucinante. Ho sentito dirigenti minimizzare l’accaduto, perché non si sono sentiti chiaramente i “buu”. Però chi ha sentito doveva far fermare la partita, ma non lo ha fatto. E la cosa peggiore è che gli stessi giocatori non si sono fermati. Purtroppo in questo periodo la mancanza di sportività si fa sentire. Io sto con Muntari e vorrei che anche gli arbitri stessero con lui, così come i giocatori. Se si fa qualcosa solo per iscritto e poi non si applica, non va bene. L’arbitro doveva fermare la gara o quantomeno ascoltarlo. Non ha avuto coraggio e invece di difenderlo come prevede il regolamento, lo ha ammonito. È tutto senza senso».
Condanna anche i giocatori?
«Certo. E condanno Strootman per l’antisportività nel derby. Non c’entra né con la violenza né col razzismo. Però l’antisportività è una piaga, nel calcio e nello sport in generale».
Da Cagliari a Torino. E all’oltraggio a Superga…
«Ricordo anche striscioni allo stadio che irridevano i morti di Superga, e penso che di fronte a fatti del genere i giocatori dovrebbero fermarsi, far rimuovere lo striscione prima di giocare. E i responsabili andrebbe cacciati dallo stadio e non dovrebbe metterci più piede».
Buffon però è intervenuto…
«Lui si è sempre esposto contro razzismo e violenza. O stupidità, perché quello che è successo a Superga è stupidità. Sono cose che fanno male e che dovrebbero essere punite».
Gli episodi più gravi accaduti quando giocava lei?
«La morte di Paparelli fu terribile, un razzo che attraversa il campo da curva a curva è follia. Poi il dramma dell’Heysel. Però la Thatcher, in Inghilterra, un giorno decise di affrontare e debellare gli hooligan. E da lì hanno risolto il problema. Oggi in Inghilterra se ti comporti male allo stadio vieni isolato da chi ti sta intorno. Questo non significa fare la spia, ma stare nella civiltà, è diverso. Si tratta di rispettare gli altri. In Italia invece non c’è più rispetto per niente e per nessuno».
Vuole lanciare un messaggio?
«Vorrei rivedere nel calcio la sportività, il rispetto, l’etica morale. A partire dai giocatori, ma anche dai tifosi, dai dirigenti, dalla tv, da tutti gli addetti ai lavori. Ci vuole maggior rispetto per tutto quello che accade». Un altro urlo che fa rumore.