Il Sole 24 Ore (A.Cerchi) – Sullo stadio della Roma la parola è ora delle carte e delle procedure. Per il momento di certo c’è che il procedimento di vincolo aperto dalla soprintendente al paesaggio della capitale, Margherita Eichberg, congela la situazione. Il procedimento, infatti, ha un iter autonomo e parallelo rispetto alla conferenza di servizi, che per decidere deve aspettare l’ultima parola sul vincolo. A dire il vero, si potrebbe anche ipotizzare un intervento della conferenza di servizi senza aspettare la fine dell’istruttoria presso il ministero dei Beni culturali, ma la questione è controversa. La via più piana prevede che le parti interessate possano presentare le loro controdeduzioni sul vincolo, che è stato apposto sulla base degli articoli 10 e 13 del Codice dei beni culturali (Dlgs 42/2004), i quali prevedono si possano dichiarare di interesse culturale beni immobili «particolarmente importanti» costruiti da oltre 50 anni (l’ippodromo di Tor di Valle su cui dovrebbe sorgere lo stadio è degli anni Sessanta). Il procedimento di vincolo è un atto autonomo del soprintendente, sul quale il ministro dei Beni culturali non può interferire, a meno di palesi irregolarità.
La sede in cui le eventuali obiezioni delle parti vengono esaminate è la commissione regionale di coordinamento, costituita dai soprintendenti del Lazio, dal segretario regionale dei Beni culturali e dal direttore del polo museale della regione. La commissione deve decidere sia di confermare il vincolo sia disattenderlo. In quest’ultima ipotesi, il caso si chiude. Se, invece, la commissione conferma il vincolo, la palla passa alla conferenza di servizi, la quale – in base alla riforma Madia della pubblica amministrazione e, in particolare, al decreto attuativo 127 del 2016 – può anche decidere a maggioranza di non tenerne conto. A quel punto, il ministero dei Beni culturali può giocare la carta Consiglio dei ministri: il direttore generale del paesaggio, Caterina Bon Valsassina, chiede al ministro Dario Franceschini di portare la questione a Palazzo Chigi. Il ministro può valutare il da farsi. Nel caso opti per interpellare i propri colleghi di Governo, la questione del vincolo si mette ai voti in una seduta del Consiglio dei ministri e la partita si chiude, in un senso o nell’altro, in quella sede. C’è, però, un’altra strada che le parti danneggiate dal vincolo possono praticare già da ora: si tratta dell’impugnazione del provvedimento davanti al Tar. Questi sono gli scenari più prevedibili. Ne esiste, come detto, un terzo e coinvolge da subito la conferenza dei servizi. Quest’ultima, senza aspettare che si svolgano le procedure e si esprima la commissione regionale di coordinamento, potrebbe decidere di chiedere comunque alla soprintendente Eichberg l’assenso alla costruzione e, dunque, il ritiro del vincolo. Di fronte a un presumibile rifiuto del funzionario dei Beni culturali – il contrario presupporrebbe un suo dietrofront sulla questione -, la conferenza dei servizi potrebbe decidere a maggioranza di non tenere conto del vincolo. La procedura, come detto, non è così pacifica: non è, infatti, certo che la conferenza dei servizi possa agire senza aspettare la conclusione del procedimento di vincolo. In ogni caso, se si dovesse imboccare questa strada e il vincolo venisse rimosso, resta sempre la possibilità per gli uffici dei Beni culturali di chiedere al ministro di rimettere l’affare al Consiglio dei ministri.