Corriere dello Sport – Quello striscione che vale lo scudetto

Niente scuse. Per tornare, da qui all’eternità, al capolavoro cancellato di Osvaldo, qualcuno dice: il non assistente di Brighi avrebbe dovuto almeno scusarsi. Eh no! Ma quali scuse, in certi casi le scuse rendono definitiva l’offesa. Sei semplicemente inscusabile, assistente che non assiste. A meno che tu non sia Stranamore, il braccio meccanico che parte a casaccio, quella bandierina tu non dovevi mai alzarla nella vita. Punto. Niente se e niente ma. Se la alzi, ti tieni la gogna, zitto e strisci lungo i muri. Se, alla tua età, hai le compulsioni da sbandieratore, portatela a casa la bandierina e fanne l’uso che vuoi. Capita, dicono. Ma non tutto quello che capita può essere scusato. Ognuno di noi convive con i suoi piccoli, grandi imperdonabili delitti, contro l’estetica, contro la morale, contro la sensibilità degli altri e contro se stesso. Troppo comodo scusarsi. Il libero arbitrio, se c’è, vale anche per il libero arbitro. Drizzando quella stramaledetta bandierina, non solo hai rubato a Osvaldo un capitolo chiave della sua biografia, ma hai rubato a tutti noi la chance di rilanciare quel lampo accecante e incomprensibile in un piacere da mettere in cassaforte per i giorni a venire. Una “cosa” così non si annulla a prescindere. E non è una boutade da tifoso ferito. Noi umani, inchiodati alla bruta routine della vita, abbiamo bisogno di questi “incidenti” della bellezza per consolarci. Tu e la tua bandierina mentecatta. Non si capisce perché altrimenti il mondo, tifoso e non, sia adorante ai piedi di gente come Roger Federer e di Messi. Anche gli arbitri possono sbagliare, dicono. Alt. Ci sono errori e errori. Alcuni sono al confine tra l’ottusità e la malafede. Nel dubbio devi tacere, te lo dice il buonsenso, te lo dicono i tuoi capi, tu il dubbio almeno lo devi avere, alla tua venerabile età, non puoi giocare all’alzabandiera. Vale anche per il nasuto Brighi. Non puoi assecondare passivamente il tuo sbandieratore folle. Non puoi non ammonire uno come Oliveira, che picchia come un fabbro astioso per novanta minuti, e poi svettare il giallo al primo fallo di Gago. Piccola chiosa. Il calcio, finchè non avrà il correttore della moviola in campo, regolamentato si capisce, due o tre chiamate a squadra, resterà un pozzo di bile.

QUEL MERAVIGLIOSO STRISCIONE -Il “Mai schiavi del risultato” esposto domenica notte dalla Sud è il primo grande risultato che la nuova Roma degli americani, di Baldini ed Enrique, di Fenucci e Sabatini, porta a casa. Vale un primo scudetto. Anche perché a concepire prima e a stendere poi quello striscione non è un’elitè d’intellettuali del calcio, ma la pancia del più passionale tifo del mondo. Gente che ha goduto la Roma di Liedholm, di Eriksson, di Zeman e di Spalletti, ma non aveva mai tradotto quel godimento in un concetto esistenziale. Da domenica sera, da quello striscione, la parola “rivoluzione” a Trigoria comincia ad avere un senso.

LA VITA E’ ADESSO – Sempre detto, Claudio Baglioni un poeta vero, messo in ombra dalla casta dei nostri pensosi e schierati cantautori. Tu Roma sei in marcia per la terra promessa, un viaggio eccitante, è vero, ma se nel corso del cammino ti rendi conto che la felicità è qui, subito, a portata di mano, fuori dalle mappe disegnate a tavolino, perché non coglierla? Metti in fila i diciotto nomi fondamentali di questa Roma, chi può dire di aver di meglio? Milan a parte, squadra però vecchia e dagli acciacchi incombenti. A Trigoria, su questo tema, la consegna è il silenzio. Scaramanzia o strategia? Forse entrambe le cose. Il rischio è di dare ragione a chi dice che, con un allenatore più pragmatico, questa Roma avrebbe almeno cinque punti in più. Enrique è un uomo intelligente, dimostri a se stesso come l’intelligenza possa coniugare idea e prassi. La terra promessa non sarebbe compromessa, anzi. L’ ”incidente”, lo scudetto subito, significherebbe un’accelerazione orgiastica del viaggio. Prendi l’attimo. L’aveva detto Orazio prima di Baglioni.

Corriere dello Sport – Giancarlo Dotto

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