Nessuno gli ha mai regalato niente. Tutto quello che ha conquistato in carriera, Maarten Stekelenburg se lo è conquistato con fatica, con determinazione, con classe. Fin dagli inizi della sua carriera. Prima con l’Ajax, poi con la nazionale olandese e quindi con la Roma. E anche qui ha dovuto aspettare un po’ per ricevere i primi veri applausi. Fragorosi quelli dei 35mila 738 di domenica all’Olimpico. Più uno. Ovvero Luis Enrique, che si è spellato le mani a furia di batterle per esprimere tutto il suo apprezzamento per l’uscita di testa con la quale Maarten ha ricacciato un’offensiva del Palermo. Non difficile, o comunque meno di altri interventi, ma segnale inequivocabile del fatto che Stek è sempre presente nel gioco della Roma. Con tutti i mezzi a disposizione. Con la testa, appunto, con le uscite, con i piedi attraverso i quali far ripartire l’azione. E ovviamente con le mani. Le manone nascoste da quei guanti sgargianti gialli e azzurri che le fanno sembrare ancora più grosse. Tanto da nascondere la porta agli avversari. Ne sa qualcosa Zahavi, che probabilmente stava già pensando a come festeggiare il pareggio quando Maarten gli ha respinto la palla. Perché quella parata non è mica una cosa normale.
In una occasione del genere il 50 per cento dei portieri si butta sul pallone come una furia ad occhi chiusi. Un altro 49 per cento gli occhi li tiene aperti, ma solo per controllare la situazione. C’è poi quello striminzito 1 per cento che gli occhi li spalanca per mettere la mano dove il corpo non arriva. Ecco, Stekelenburg fa parte di quella elite. Un ristretto gruppo di super portieri, di numeri uno, anche se lui veste il 24 di un altro Super (Marco Delvecchio) capaci di fare la differenza, di portare a fine stagione una manciata di punti in più. Un portiere da grandissima squadra Stekelenburg, che non a caso mesi fa era stato contattato anche dal Manchester United per il dopo van der Sar. E fa sorridere il fatto che la prestazione col Palermo arrivi nel giorno in cui all’Old Trafford l’uomo che è stato scelto al suo posto, De Gea (pagato l’esorbitante cifra di 18 milioni di euro), incassa sei gol, non tutti esenti da colpe, nel derby con il City. Problemi di altri, non della Roma che si gode il primo olandese della sua storia. Mentre lui si gode la prima vittoria in giallorosso. Quella che stava per diventare un tabù. Troppe partite senza poter festeggiare: la coppa, l’esordio shock in campionato con il Cagliari e lo shock, stavolta più grave e fisico, del colpo alla tempia da Lucio contro l’Inter. Tutto superato, tutto alle spalle. E lo aveva già fatto vedere nel derby, aldilà del risultato, con uscite tra i piedi degli avversari. Altro che caschetto protettivo («non è roba per me» aveva detto), altro che paura. Giù a occhi aperti, a braccia spalancate a parare tutto, a conquistarsi applausi e successi. Come sempre.
Il Romanista – Daniele Giannini