Il Tempo (D. Di Santo) – Sarà il mattone a salvare il pallone tricolore? A sentire i presidenti di serie A l’unico antidoto alla crisi del calcio italiano è lo stadio di proprietà. Un movimento, quello del pallone nostrano, che si alimenta soprattutto con la ricca torta dei diritti televisivi che rappresentano il 43% dei ricavi dei club della massima serie, mentre le voci relative a marketing e area commerciale hanno registrato la scorsa stagione segno negativo. La corsa all’impianto all’inglese con ristoranti, palestre e negozi rappresenta così per i club che se lo possono permettere la possibilità di estendere il business al di fuori di quanto accade nei 90’ minuti sul terreno di gioco. E cercare di erodere il divario con le big europee che mettono a bilancio entrate a sette-otto zeri derivanti da biglietti e servizi.
A dettare lo standard, almeno in Italia, è lo Juventus Stadium, scrigno e fortezza del club bianconero. Il primo esempio italiano di stadio di proprietà, però, è stato il «Giglio» di Reggio Emilia, inaugurato nel ’94 e rilevato dopo il fallimento della Reggiana dal patron del Sassuolo Giorgio Squinzi, e diventato il Mapei Stadium.
Proprio il capo di Confindustria ieri ha criticato il progetto del Milan al Portello («spazi di respiro non adeguati») che ha ricevuto il via libera della Fiera Milano anche se già fioccano le proteste di politici e ambientalisti. In casa Inter si vede comunque il bicchiere mezzo pieno: se Portello sarà, il Meazza diventerà tutto nerazzurro. E mentre la nuova casa dell’Udinese – 30mila posti per una spesa di 30 milioni, un esempio virtuoso secondo il britannico Guardian – è ormai prossima all’inaugurazione, il progetto più avanzato è quello del nuovo stadio della Roma a Tor di Valle. Il progetto definitivo sarà inviato entro luglio alla Regione e il gioiello firmato Dan Meis, presentato in pompa magna dal presidente Pallotta, potrà vedere la luce presumibilmente nel 2018. Il lungo iter per la posa della prima pietra è guardato da tempo e con attenzione anche dall’altra squadra di Roma. Ambienti biancocelesti confermano a Il Tempo che il progetto dello stadio delle Aquile, la casa della Lazio immaginata dal presidente Lotito sulla Tiberina, è sempre pronto e verrà tirato fuori al momento opportuno.
Sicuramente dopo il via libera definitivo all’impianto giallorosso che però deve ancora scontare la presentazione dell’intera documentazione: ad oggi mancano all’appello alcuni sondaggi geologici e documenti su espropri e costi dell’opera. E mentre il presidente della Sampdoria, Massimo Ferrero, non rinuncia al suo sogno di costruire «lo stadio più bello d’Europa» vista mare, il club blucerchiato ha trovato l’accordo con i «cugini» del Genoa per la ristrutturazione del «Ferraris», dato in concessione alle due società per 99 anni. A Bergamo si punta a un restyling «all’inglese» che sarà cofinanziato da Atalanta e Comune. Lo stadio è un vecchio pallino anche del patron del Palermo Zamparini, che sembra però aver rinunciato per l’impossibilità di superare i tanti paletti burocratici. Limitazioni dettate dalla recente legge sugli stadi che impedisce, tra l’altro, di inserire nei progetti fabbricati di edilizia residenziale. La torta degli stadi fa gola anche fuori dal circuito delle big. Il Frosinone sta lavorando col Comune per un nuovo impianto a misura di A sulle macerie di un vecchio campo, il Casaleno, mentre lo storico Matusa, adeguato in questi giorni agli standard minimi stabiliti dalla Lega per le neopromosse, ospiterà le gare casalinge dei canarini anche nella prossima stagione. Il Carpi, invece, giocherà a Modena, per il disappunto dei tifosi. Impossibile sentirsi padroni in casa d’altri.