Il Tempo – Pubblichiamo l’intervento dell’urbanista Emanuele Montini al confronto sullo stadio della Roma organizzato il 26 giugno scorso da Radio Radicale. Un intervento da cui emerge la netta contrarietà alla costruzione dell’impianto. E che rende chiaro il perché, per la successione a Paolo Berdini, si sia dovuto scartare in partenza la carta Montini.
“Italia nostra è stata in prima linea da subito contro questo stadio. Come Italia Nostra abbiamo ragionato, sia a livello romano che nazionale, in termini chiari sulla variante urbanistica. Ogni variante è una sconfitta. Il Piano regolatore è stato approvato solo nel 2008 e già si fa una variante? Nel 2008 non potevi pensare che c’era bisogno di stadi? Non potevi individuare localizzazioni dove già erano presenti trasporti, dove non c’era un’area esondabile, dove c’erano già delle infrastrutture? E invece, come avviene da parecchi decenni, la città va dove l’imprenditore vuole, non dove il pianificatore decide. Quindi, di fronte a questa scelta, l’ennesima, di variante urbanistica su un’ area privata dove si porta un surplus di valore di 260 milioni di euro, questo è un regalo per chi? Per la città? Per i romani? i romanisti? Abbiamo visto che in fondo in tutta questa storia lo stadio è solo il 14% di tutta la cubatura: la parte del leone la fanno uffici, centri commerciali, alberghi. Abbiamo detto che forse è più “una scusa” quella di fare lo stadio, sennò quella variante non si poteva avere?“.
(Il moderatore chiede: «Che male c’è? Pallotta è un imprenditore che vuole investire e guadagnare»).
Il problema è che ci aspettiamo che dall’altro lato ci sia uno Stato che metta i paletti a queste cose. Stiamo parlando di una variante che porta l’area a livello di centralità urbanistica e a Roma di centralità ce ne sono tante. Al momento in cui si è adottato il piano regolatore generalesi doveva pensare a una cosa del genere. Oggi, quando arriva un costruttore e chiede di costruire quello che vuole, gli si deve ri spondere «ci sono già delle zone che hanno bisogno di servizi senza bisogno che ci porti infrastrutture». Per quel quadrante, l’esigenza di queste opere [connesse allo Stadio, ndr] non è così forte: ci sono altre zone popolate da 2-300mila abitanti che non hanno servizi. Pensiamo a Tor Vergata: c’è università, policlinico, ospedali ma non metropolitane. Qui, a Tor di Valle, siamo in un’area bella e pregevole, 90 ettari di area golena le, costruiti 3 ettari, per il resto è tutto libero. Quindi parliamo di un consumo di suolo pesante, su un quadrante della città che deve essere infrastrutturato ex novo.
(Domanda del moderatore: «Cosa può fare il Comune?»).
Il Comune può fare quello che vuole. Si può tornare indietro. Questo è un intervento in cui lo Stadio è solo la minima parte. Le infrastrutturazioni previste dal progetto hanno un costo, 196 milioni di euro. Sono opere, la maggior parte, a scomputo di oneri concessori, cioè soldi che dovrebbero andare al Comune per fare infrastrutturazione urbana ma vengono gestiti direttamente dal privato. Se io dovessi pensare a un profilo di illegittimità della delibera di pubblico interesse, penserei proprio al fatto che, contrariamente a quanto inserito nel codice appalti 2006 e in quello 2016, le opere a scomputo non vanno a gara d’appalto ma vengono costruite dal privato. L’argomento appassiona, al di là delle fedi calcistiche. È un grande intervento di edificazione. Io ritorno a ciò che detto. Sotto il profilo culturale la posizione di Italia Nostra è quella che ho già espresso: la nostra è una filosofia culturale che si basa sulla conservazione e sulla valorizzazione del paesaggio e noi facciamo la nostra parte. Se si fa consumo di suolo, visto che è risorsa limitata, si deve fare quando è veramente necessario: non per questioni economiche o per progetti che hanno una visione limitata ad interessi locali di un quadrante ma va messo a sistema. Fosse stata fatta pianificazione ab origine non saremmo arrivati a questa situazione, o, per lo meno, si potevano identificare terreni già inclusi in altre centralità urbane e utilizzare questi. E, con il costruttore che oggi propone Tor di Valle, si sarebbe potuto ragionare su altri quadranti, magari quelli abbandonati della periferia est che sono senza servizi e questo poteva essere un intervento per portare servizi là. Dico: sì, c’è una legge ma non è detto che tu debba applicarla per forza. Una legge, quella Stadi, che, per altro, ha avuto un iter difficile: non sarebbe passata in Commissione quindi è stata infilata nella finanziaria 2014, con voto di fiducia senza nemmeno fare correzioni. Sostanzialmente questo testo bloccato è del tutto carente. Tuttavia, nella sua carenza, dice tre cose cui questo progetto non ottempera: nella legge c’è scritto che ci deve essere un uso prevalente da parte delle società sportive e qui abbiamo soltanto il 14% dello stadio e a casa mia “prevalente” significa il 50% o più. Secondo: non deve essere consumato nuovo suolo ma la legge si usa per ristrutturare l’esistente. In questo caso non è così e la norma prescrive che sia espressamente motivata la necessità di non recuperare impianti preesistenti e consumare suolo. Terzo: siccome il codice appalti non viene derogato dalla legge stadi, occorre fare tutte le gare. Come Italia Nostra siamo sempre stati aperti al dialogo e al ragionamento su tutte le possibilità di migliorare questa città e dare più servizi ai cittadini, aumentare la qualità della vita ma senza pregiudicare il grande patrimonio di questa città, fatto di beni culturali e paesaggio. Pensiamo che si possa verificare se questa delibera è legittima o meno e fare un passo indietro e poi due o tre avanti.