L’allenatore della Roma Primavera, Alessandro Spugna, ha rilasciato una lunga intervista ai microfoni di Radio Serie A. Queste le sue parole:
Cos’è uno scudetto vinto a Roma?
“Una cosa bellissima. Il trasporto che ti dà la gente è all’ennesima potenza. Uno scudetto fortemente ricercato perché dopo il mio primo anno a Roma abbiamo capito di poter raggiungere qualcosa di incredibile. Abbiamo cercato quindi calciatrici che potessero servirci nell’anno seguente e grazie all’aiuto di tutti abbiamo vinto. Qualcosa di veramente bello”.
Cosa è servito per vincere?
“Nel primo anno abbiamo percepito di poterlo fare ed è stato nella finale persa di Coppa Italia. L’ abbiamo capito che potevamo avvicinarci alla squadra in quel momento più forte, la Juventus, e che sarebbe bastato poco. Il campionato poi è lungo, non è una partita sola, perché in quel momento lo abbiamo capito”.
Ci racconti la carriera da calciatore?
“Molto tranquilla, tra Serie D ed Eccellenza. Mi sono divertito molto, qualcuno dice che avrei potuto fare qualcosa in più ma penso che ognuno, alla fine, ottenga quello che deve ottenere. Mi sono sempre impegnato tanto, con molta serietà, e poi è venuta l’opportunità di iniziare la carriera da allenatore e lì mi sono impegnato forse di più”.
Non è necessario aver giocato ad alti livelli per allenare
“No, però aver giocato, e aver incontrato tante persone che ti hanno aiutato, è sicuramente utile e tante cose me le porto dietro dalla carriera di calciatore”.
Che ruoli ricoprivi?
“Centrocampista”
Idoli
“Deschamp, Dunga, Falcao, però il mio grande idolo è stato Bruno Conti, visto al mondiale, è stato il mio primo idolo”.
Che squadra tifavi da bambino?
“Torino. In famiglia erano tutti del Toro, ho visto le prime gare allo stadio”.
Soddisfazioni da tifoso?
“Non molte, non ricordo lo scudetto del ’76 ovviamente, ricordo la vittoria in coppa Italia contro la Roma e la finale con l’Ajax”.
Quando hai deciso di diventare allenatore?
“Avevo giocato insieme con Benedetti negli ultimi anni della mia carriera e lui mi chiese di allenare al Torino nelle giovanili e accettai subito. Fu inizialmente una forte passione e iniziare da un club professionistico ti mette una grande responsabilità. Ho dovuto studiare, mettermi in discussione e l’ho fatto”.
Cosa hai imparato in 12 anni al Toro?
“Una palestra di vita incredibile, ho allenato in tante categorie, età differenti. Ho conosciuto tante persone al Toro. Lavorare in un club professionistico è un grande confronto con gli altri. Poi il Toro ha vissuto anni complicati al livello societario con il fallimento e l’arrivo di Cairo”.
Poi sei passato alla Juve
“In quegli anni, la Juve stava lavorando in maniera ottima nel settore giovanile. Era difficile dire di no. Ci sono andato con la voglia di migliorarmi ancora, in un ambiente totalmente differente, professionale al massimo e con una disciplina rigidissima. Tutto questo ti fa migliorare e crescere. Sono stati sei anni intensi e belli”.
In quegli anni scopri il calcio femminile. Come è successo?
“Un’idea di Stefano Braghin, attuale responsabile della Femminile. Mi chiese se avessi voglia di allenare la Primavera e lo decisi in 12 secondi, di pancia dissi di sì. In quel momento stavo allenando l’U14 maschile. Era un’opportunità di completare un percorso”.
Fino a quel momento cosa sapevi del calcio femminile?
“Qualcosa sapevo, sono amico di Rita Guarino, ci conoscevamo e parlavamo. Da quando mi è stata fatta quella proposta, mi sono poi buttato a capofitto su tutto ciò che riguardasse il calcio femminile per rendermi conto di che tipo di calcio si potesse fare. Ricordo il primo giorno in cui fui presentato alla squadra. Ricordo il silenzio totale delle ragazze, che rimasero immobili tutte ad ascoltare. Nel maschile, quella attenzione lì rimane per 13 secondi, loro invece sono rimaste attente per tutto il tempo. Questa è la grossa differenza rispetto al calcio maschile, le ragazze hanno una gran voglia di imparare”.
Poi sei andato all’Empoli, com’è andata?
“Eravamo in lockdown. Il DS dell’Empoli mi chiamò per parlare e io credevo volesse parlare di qualche calciatrice dell’U19 juventina e invece mi propose di allenare la prima squadra. Rimasi stupito ma dissi prima di parlare con la Juventus, era giusto così. La Juventus mi fece andare via e accettai”.
L’esperienza è finita con l’esonero. Successe perché scoprirono che stavi parlando con la Roma
“Stavo parlando con altri club, è vero. L’Empoli tardò a propormi il rinnovo, la squadra stava andando molto bene. Non solo la Roma, che arrivò più avanti, ma molte società mi contattarono. Il fatto che non volessi rinnovare per l’Empoli era una situazione fastidiosa, li ho anche capiti, era tutto strano in quel momento. Io non ero d’accordo con nessuno, stavo parlando con altri club, poi quando mi chiamò la Roma non ho avuto dubbi”.
Voi allenatori uomini parlate al femminile. È una bella forma di rispetto
“Mi è venuto naturale, le protagoniste sono loro”.
Tanti considerano il calcio femminile minore. Cambierà mai questa percezione?
“Non so, noi abbiamo il dovere di offrire uno spettacolo sempre migliore poi per me il calcio è calcio, maschile o femminile che sia. Quello che cerco di trasmettere alle giocatrici lo trasmettevo nel maschile, con alcune differenze dal punto di vista fisico. Le donne hanno meno forza a parità di età degli uomini, però il calcio è quello. Per mettere tutti d’accordo, dobbiamo solo offrire uno spettacolo sempre migliore”.
Ti sei mai arrabbiato per questa discriminazione?
“No, ogni tanto ti dà fastidio leggere alcune cose ma spesso chi critica non conosce bene questa realtà”.
L’attuale momento del calcio italiano? Una cosa positiva, una negativa
“Positiva: il livello si sta alzando. Le gare sono più piacevoli da vedere. C’è più attenzione da parte dei grandi club e da quel momento il calcio femminile è cresciuto molto. I Friedkin ci mettono una grande attenzione. L’organizzazione che c’è dietro la nostra squadra, giovanili comprese, è molto importante. Negativa: manca una maggiore visibilità e c’è poi un problema di strutture, che riguarda anche il calcio maschile. Il professionismo sta portando maggiori tutele che prima non avevano. Per le nuove generazioni, sarà ancora più importante”.
Le calciatrici, rispetto ai calciatori, sembrano più libere di testa
“Prendono tutto con più leggerezza e serenità e questo va difeso perché ti permette anche di lavorare bene. Per il percorso fatto e il vissuto, stanno vivendo questo momento con gioia giustamente”.
Nell’ultimo mondiale: 2 miliardi di spettatori in tutto il mondo, 2 milioni di spettatori dal vivo
“Sono dati impressionanti, bellissimi. Vedere stadi pieni è qualcosa di fantastico, anche se in Australia il calcio femminile è avanti rispetto all’Italia. Sono dati comunque importanti, così come tante nazionali che sono cresciute veramente tanto, come le squadre africane, asiatiche e molte europee iniziano a raggiungere un certo livello”.
La Serie A a 10 squadre ti piace?
“Ni. Per certi versi sì, ma mi piacerebbe con più squadre di livello. Dopo poche giornate, però, il campionato si spezza subito in due e forse così si capisce che, in questo momento, va bene averne 10. Sarebbe bello avere 14 o 16 squadre, però tutte competitive”.
Solo un allenatore è donna su 10 squadre. Non è poco?
“Non so dirti il motivo ma non faccio distinzioni. Se una è brava ad allenare per me può allenare anche la squadra maschile”.
Quando è arrivata la Roma, hai deciso subito. Come mai?
“L’ho sempre vista come la squadra che giocasse meglio, con principi che si avvicinavano ai miei. Quindi ho detto subito di sì. Mi ha chiamato Bavagnoli, dicendomi che avrebbe assunto un altro ruolo che aveva pensato a me. La Roma poteva ambire subito a qualcosa di importante e ho percepito l’ambizione di voler fare qualcosa di importante”.
Cosa hai trovato di speciale poi a Roma?
“Il primo impatto è stato fantastico, mi sembrava di stare lì da tempo. Ho ereditato tutto lo staff di Bavagnoli, uno staff di persone straordinarie dal punto di vista umano e professionale. Ha anche facilitato il mio inserimento”.
Ci spieghi il progetto di crescita?
“In uno dei primi colloqui con Bavagnoli le chiesi dove la Roma volesse arrivare. Lei mi disse di avere una visione europea, di voler ambire a vedere una squadra con un’identità precisa ed europea. Per me, è una cosa importante, dare un’impronta precisa. Il primo obiettivo era di arrivare a giocare la Champions e poi, da lì, abbiamo sempre provato a crescere con una programmazione attenta. Per arrivare a calciatrici importanti, abbiamo anche dovuto fare sacrifici importanti per alzare l’asticella. Ora vogliamo confermarci in Italia ma il principale obiettivo è di giocare la Champions perché è qualcosa di diverso, unico”.
Quanto è importante avere una proprietà americana?
“Molto. I Friedkin non ci hanno mai fatti mancare nulla. Sono stati presenti nelle dichiarazioni, presenti di persona a vederci e nel centro sportivo, per darci forza. Al livello femminile, il calcio è probabilmente lo sport più importante in America, loro ci hanno sempre motivato e spinto a fare meglio”.
Qual è la cosa più bella che ti hanno detto?
“La loro presenza dopo la vittoria dello scudetto. Sono venuti al centro sportivo il giorno dopo a complimentarsi, per trasmetterci l’importanza di questo progetto per loro. Loro sono una presenza mai invadente, ti lasciano lavorare ma sai che ci sono. Poi io non ho molti contatti diretti, li ha più Bavagnoli, ma sai che ci sono”.
La CEO della Roma è una donna, anche lei molto presente
“Esatto, molto presente. Appena arrivata, è venuta al centro sportivo per conoscerci e chiederci di cosa potessi avere bisogno”.
Che rapporti hai con Mourinho?
“Non l’ho visto molte volte ma ogni volta è stato cordiale, ci siamo scambiati alcune parole, è venuto contro l’Ajax e l’anno scorso con la Juve. Mi disse prima di festeggiare perché me l’ero meritato e che poi avremmo parlato”.
Cosa gli ruberesti?
“Tutto praticamente, è tra i top allenatori al mondo. Tante cose le osservo, le guardo. Il suo modo di gestire i grandi campioni, il modo di interpretare le partite, il coraggio nell’interpretare alcune gare. È un vincente, ha vinto tutto. Dire solo una cosa è riduttivo”.
Possibile l’approccio mourinhano nel calcio femminile?
“Lui è molto diretto, sincero e nel calcio femminile questo paga. Lui crea molta empatia con i giocatori e questo pure è importante”.
Siamo alla vigilia della gara contro il PSG. Cosa hai pensato al momento del sorteggio dei gironi?
“Che fosse il girone più duro. Però se vogliamo alzare l’asticella e confrontarci con i migliori in Europa dobbiamo passare per queste partite qua. Ho detto subito che sarebbe stata una Champions più difficile rispetto allo scorso anno perché le squadre sono più attrezzate. Quindi sì, avrei voluto forse squadre meno forti ma, dall’altro punto di vista, se vuoi confrontarti con il calcio europeo devi passare per queste partite qui. Mi sorprende che il PSG abbia zero punti ma andremo lì a giocare come sempre”.
Cosa hai pensato dopo il pari col Bayern e aver stravinto contro l’Ajax?
“Che stiamo sulla strada giusta e le ragazze stanno avendo una consapevolezza importante. Si stanno anche divertendo a giocare partite come questa. La partita di Monaco è importante: sei sotto di due reti contro ua squadrone del genere e invece non ti sei accontentato e non ti sei arreso. Nello spogliatoio dissi che avevamo altri 45 minuti e stava a noi capire come volessimo passarli, se facendo scorrere solo il tempo o no e la rimonta ci ha dato la forza per preparare la gara contro l’Ajax. Le emozioni erano tante, anche per l’esordio al Tre Fontane di sera e la società ha fatto un lavoro importante per metterci in condizione di giocare lì. Avevamo una grande voglia di sfruttare al meglio tutta quell’emozione”.
Arriverà il giorno di giocare sempre all’Olimpico?
“Non lo devi chiedere a me (ride ndr). L’abbiamo fatto l’anno scorso contro il Barcellona ed è stata un grande emozione, non è scontato portare 40.000 persone all’Olimpico, sarebbe bellissimo poterlo fare sempre”.
Arriverà il giorno in cui la Roma partirà con l’obiettivo di vincere la Champions?
“La crescita è costante ma non puoi mai dichiarare di voler vincere la Champions perché ci sono sempre le top squadre che vogliono vincere, dal Real al Bayern, al Chelsea etc. L’obiettivo è di essere in un gruppo di squadre che possano arrivare lì, magari in finale. La crescita deve essere costante. Ora andiamo ad affrontare una squadra forte, il girone ci vede messi bene in classifica ma tutto si può ribaltare in due partite. La strada è lunga”.
A Roma avete un blocco di giocatrici italiane importanti
“Il regolamento ce lo impone, da una parte, dall’altro è un vantaggio perché qui c’è un blocco di calciatrici italiane forti. Prendere invece calciatrici straniere forti può far crescere anche le italiane ma devono essere forti, non calciatrici così di medio livello. Devono essere o forti, avendo già vinto, o giovani, forti e ambiziose”
Greggi è il futuro? Dove può arrivare?
“Lei è cresciuta tantissimo in questi anni. Veniva da un infortunio al crociato e la scorsa stagione ha fatto una stagione incredibile e, per me, lei ha tanti margini di miglioramento. Nella sua intensità di gioco, nella sua capacità di recuperare palloni, ha una sua fisicità. Quando alzi i ritmi, nel calcio femminile, fai la differenza. È migliorata molto in zona gol, fa tanti gol belli, e ha grandi margini di miglioramento. Può diventare tra i centrocampisti più bravi in Europa”.
Giacinti?
“L’abbiamo cercata nel mio secondo anno. Ci serviva una finalizzatrice e in Italia è l’attaccante più forte. Gliel’ho detto appena arrivata, aggiungendo che sarebbe dovuta diventare l’attaccante più forte in Europa. Lei segna e lavora anche tanto per la squadra. Se non segna per un periodo, va un po’ in depressione come tutti gli attaccanti, ma lavora per molto per la squadra, crea spazi, è la più forte in Italia”.
Hai mai pensato alla Juventus che non ti ha dato l’opportunità di allenare in Serie A?
“Quando ho avuto la Primavera, non ci pensavo proprio. Poi sono andato all’Empoli e le cose sono cresciute talmente tanto velocemente che non hai tempo di pensare”.