Il Tempo (A.Austini) – Giù la maschera. Il buonismo apparente di Spalletti è finito dopo due partite, perché la Roma ora ha bisogno del bastone, altro che carote. Ci ha provato a proteggerla, a mascherare dietro i sorrisi i tanti problemi che ha trovato sul campo, a infondere fiducia prima di una partita che segna uno spartiacque definitivo: gli ultimi sogni, se qualcuno li coltivava ancora, sono finiti allo Stadium bianconero. Pallotta ha seguito la gara in tv dagli States ed è rimasto senza parole, il suo braccio destro Zecca ha assistito dal vivo a una resa quasi definitiva di una squadra costruita per ben altri traguardi.
Persa la sfida senza neppure aver provato a vincerla, il tecnico va giù duro: «Abbiamo concesso poco però abbiamo anche osato troppo poco. Dobbiamo fare di più perché altrimenti contro squadre del genere diventa difficile vincere il confronto. Non siamo aiutati dal morale in questo momento e quindi girano meno pure le gambe. Dovevamo alzare la linea difensiva e andare in profondità, di ogni cosa bisogna fare qualcosa di più: puntare l’avversario, vincere i duelli, essere cattivi e coraggiosi, aumentare il ritmo per ritrovare coraggio e autostima. Invece abbiamo dato l’impressione di giocare per lo zero a zero mentre non era quella la nostra intenzione». Sarebbe stato insensato, vista una classifica impietosa: dal derby di inizio novembre i giallorossi hanno raccolto la miseria di 9 punti in altrettanti match, ritmo da retrocessione non certo da Champions. Spalletti riconosce che la sconfitta di ieri è un punto di non ritorno: «Mi aspettavo qualcosa di più per vedere se avevo ragione a cercare un risultato qui. Questa era una partita più importante di tutte le altre per noi, nel frattempo è iniziato un lavoro che deve durare 5 mesi e qualsiasi risultato non condizionerà quello che deve essere il sacrificio che faremo. È chiaro come l’aspetto psicologico sia fondamentale soprattutto in un ambiente come il nostro: quando c’è entusiasmo hai anche il supporto del tifoso, mentre quando c’è il momento negativo sei appiattito. La classifica? Per ora la priorità deve essere la crescita della squadra. Sarà un lavoro lungo ma noi vogliamo costruire situazioni che ci permetteranno di riguardare la graduatoria: ora ci mancano caratteristiche fondamentali per farlo. Se non abbiamo la condizione mentale per vincere le partite è inutile fare altri discorsi. Adesso aumentiamo le nostre qualità per tornare a essere la Roma, quella che va sui campi e gioca a viso aperto contro tutti».
La difesa a cinque, non a tre, è un punto di ripartenza per iniziare a subire meno. «Lo schieramento dipende dal fatto che si può giocare sulle qualità individuali e ci si continuerà a lavorare». Ma davanti s’è visto il nulla. «Nainggolan – prosegue l’allenatore – doveva sostenere di più il centravanti, ha la possibilità di interpretare quel ruolo in uno spazio più ampio. Dovevamo spingere maggiormente sugli esterni, abbiamo fatto poco. Salah dopo l’infortunio non ha ripreso bene: deve allenarsi duramente perché la differenza è sull’impatto fisico quando si va sui contrasti. Abbiamo bisogno di Dzeko come il pane, bisogna supportare questo giocatore che non sta passando un bel momento: è mancato il supporto dei trequartisti, lui la squadra l’ha fatta salire. E io devo avere la pazienza di aspettarlo». Ora è necessario intervenire sul mercato. «Ci serve un difensore centrale e uno o due calciatori davanti che sappiano saltare l’uomo. Perotti? Ha delle qualità, ma non è il solo. Se mettiamo le mani anche sul centrocampo facciamo tardi. Abbiamo Strootman che è infortunato e Keita con due allenamenti nelle gambe, ma può fare ancora il suo». La chiusura malinconica-nostalgica è su Totti: «Ha avuto un infortunio importante e alla sua età il recupero è più difficile. Contro il Milan ha fatto vedere di non essere a posto». Purtroppo non è l’unico.