La Gazzetta dello Sport (D.Stoppini) – Quando rientra in quella sala stampa abbandonata sbattendo i pugni sul tavolo — storia di sei anni e mezzo fa — il cerchio sembra chiudersi. «Non mi vedete ringiovanito?», scherza Luciano Spalletti. Lo vediamo pensieroso, quello sì. Perché questa non è una Roma che ti lascia tranquillo. È una squadra che ti fa pensare, dubitare, persino faticare, molto più di quanto non pesi fare un Firenze-Parigi-Miami-Roma nel giro di 48 ore. «È un risultato difficile da accettare», dice il tecnico. E sembra quasi scusarsi, lui che con i debutti all’Olimpico proprio non è fortunato: nel 2005 perse in casa contro l’Udinese (0-1), stavolta l’1-1 vale di più solo in termini di punti.
CON CASTAN – Spalletti è entrato a gamba tesa sulla Roma. In tre allenamenti l’ha rivoltata come un calzino. L’ha messa in campo con il 4-2-3-1, il biglietto da visita per farsi riconoscere anche oltre quella solita pelata. Ma l’idea in testa era la difesa a tre e dopo 14’ s’è vista: rivoluzione copernicana. Luciano ha provato a guidare la squadra, usando il telecomando De Rossi. Ha urlato, ha fatto cenno a Manolas e Castan di alzare la difesa. Ha chiesto a Pjanic di dettare i tempi del gioco. Ma più di tanto non ce l’ha fatta. Tradito anche dall’uomo che aveva deciso di rilanciare. «Pensavo che Castan mi sarebbe servito per impostare l’azione — ha raccontato —. Ora siamo un po’ risicati, la partita in cui azzardare era questa, non quella con la Juve. Ma probabilmente ho sbagliato». Castan ha causato il rigore del pareggio. Dopo il match non si dava pace. E in serata ha chiesto scusa sui social network: «È stata una giornata frustrante, pensavo di star bene e invece ho capito di dover migliorare ancora tanto. Forse si sono fidati troppo di me, chiedo scusa, mi dispiace tanto».
ASPETTANDO PEROTTI – La risalita dunque non è semplice, quantomeno non veloce come Spalletti si augurava: «Ma ho visto cose da salvare, i giocatori erano dispiaciuti alla fine. I cambi di modulo? Una squadra come la Roma deve essere pronta a usarne diversi durante la partita. E i numeri sono tornati, il problema è come l’abbiamo fatto, mica tanto bene. Dobbiamo crescere nel fraseggio, invece che cercare spesso il lancio. Ora c’è la Juve: sarà stimolante, l’avversario tirerà fuori qualcosa in più a livello nervoso ai ragazzi». Ragazzi che magari cambieranno pure, nel corso della settimana: Gervinho è in uscita, Perotti in arrivo. El Shaarawy è una situazione viva. Anche di questo ha parlato Spalletti con il d.g. Baldissoni e il d.s. Sabatini dopo la partita, nella pancia dell’Olimpico. E Adriano ieri non era neppure in panca nel Barça anti Athletic Bilbao: buoni segnali per Trigoria.
LA FRECCIATA – Segnali che però Spalletti non vede da Gervinho: «Mi chiedete se serve? Ne vorrei due, altro che. Per me non è sul mercato. Ma io posso pure dire che non si deve cedere, poi c’è il giocatore che dice “voglio andare via”…». Pare un saluto. E pare una carezza quella per Dzeko: «Per lui sono stati spesi tanti soldi, normale che si evidenzi il momento negativo. È sfortunato. Ma deve mostrare carattere, senza lasciarsi coinvolgere dagli umori della gente». Gente che ha applaudito al Luciano 2.0, sollevata dal ritrovare quel faccione sicuro, fiducioso, di sicuro familiare. Anche quando ha lanciato una frecciata che è sembrata diretta a Salah, reo di non aver passato il pallone a Dzeko per il 2-0: «In quelle situazioni è bene esser sicuri, perché se c’è uno messo meglio fa gol lui e la Roma vince. Per l’attaccante cambia se fa 10 gol o 12, certo. Ma poi diventa fondamentale se la Roma fa 12 punti piuttosto che 10». Il tacco e la punta…sì, il concetto era quello lì. E Luciano era quello lì: i sei anni e mezzo valgono solo per la carta d’identità.