Il Corriere della Sera (E.Menicucci) – «E il tacco, la punta, il titolo, il gol… Gli equilibri! Sono cinque anni che dico gli equilibri! Perché poi, si prende gol…». Così parlò l’ultimo Spalletti, nella sala stampa dell’Olimpico, il 31 agosto del 2009. La sua conferenza stampa, praticamente di addio, dopo la sconfitta della Roma contro la Juventus (1-3, doppietta di un Diego che mai più si è ripetuto) che segnò anche la fine dell’avventura del tecnico di Montespertoli sulla panchina giallorossa.
Sono passati sette anni, di fatto una vita. Quella era un’altra Roma, e anche un altro mondo. Non c’erano gli americani, non c’era una radio ufficiale, non c’era la proliferazione — che oggi c’è — dei profili Facebook, twitter, Instagram dei calciatori. Lì, ancora, le cose rimanevano nello spogliatoio, i «panni sporchi» si lavavano in famiglia e se il tecnico — tipo Spalletti — aveva un alterco coi suoi calciatori poteva anche sperare che la cosa finisse lì. A meno che non ci fossero quelli che «Lucho» chiamava sprezzantemente «i riportini», cioè qualcuno — giocatori, procuratori, addetti di Trigoria o dello staff — che raccontasse ai giornalisti cosa era successo. In quei casi, Spalletti andava su tutte le furie.
È stata la sua «cifra», calcistica e anche umana. Un grande tecnico sul campo, capace di far girare la squadra come pochi, di inventare una formula — il 4-2-3-1, con Simone Perrotta «guastatore» e Francesco Totti «falso nove» — che ha dato spettacolo, di vincere a Lione e al Santiago Bernabeu. Ma anche un uomo attento a tutti i respiri, gli umori dell’ambiente, perennemente in guerra contro il mondo, permaloso, suscettibile, pronto a vedere ombre dietro ad ogni angolo. E pronto a scagliarsi contro i cronisti che seguivano la squadra. I suoi scontri sono quasi leggendari: alcuni pubblici, altri privati. Da quando uscirono le indiscrezioni su possibili cambio nello staff medico, alle voci sui suoi rapporti, spesso altalenanti, coi giocatori. Quelli che mal digerivano le sostituzioni (nel secondo anno di Spalletti, 2006-2007, toccò a Pizarro, Mancini, Panucci, Montella…), quelli passati da un iniziale amore quasi incondizionato alle critiche più o meno velate.
Spalletti esordì a Castelrotto, estate 2005, togliendo i gradi di vicecapitano ad Antonio Cassano. Il «pibe de Bari» alzava lo stereo durante l’allenamento e Luciano lo abbassava («non mi garba la musica ad alto volume») e per quel gruppo fu il segno che venivano ripristinati i «comportamenti giusti» (altra frase cult del tecnico toscano), saltati nell’anno dei quattro allenatori (Prandelli, Voeller, Delneri, Conti). E poi, una sera, portò tutti, dal ritiro, a casa di Totti infortunato. Col capitano, però, poi non furono solo rose e fiori […]