Corriere dello Sport (J. Aliprandi) – In due mesi Matias Soulé ha perso il sorriso. Lo avevamo intervistato lo scorso 4 agosto, nel ritiro della Roma a Burton, Inghilterra, quando appena arrivato era al settimo cielo. In quei giorni ringraziava tutti per essere riuscito a vestire la maglia giallorossa, aveva ringraziato anche noi tant’era la felicità di quel momento, quelle sue prime parole da romanista dopo settimane di attesa e speranza. C’era ancora Daniele De Rossi sulla panchina della Roma, tecnico che aveva spinto per averlo, che avrebbe voluto plasmarlo inizialmente nel 4-3-3 salvo poi essere costretto a virare sulla difesa a tre e su un modulo abbracciato anche da Juric che di certo non valorizza l’ex Juve.
E adesso Soulé è stato risucchiato dalle negatività, dalle incertezze e le incomprensioni tattiche che non riescono a dargli quella spinta per riemergere e ritornare a essere felice. Sia chiaro, non parliamo di depressione sportiva, ma è naturale che quando un attaccante non riesce a tirare, segnare, dribblare, accompagnare l’azione offensiva o aiutare la squadra di certo non può essere felice. E giovedì sera Matias, per la seconda volta consecutiva dopo il Venezia, è risultato il peggiore in campo del match.
Due occasioni dal primo minuto, prima in Serie A poi in Europa League, due chance sprecate e mal sfruttate per mettersi in mostra e ritrovare il sorriso. Il ruolo di trequartista accentrato ancora non è nelle sue corde. Per Juric il ragazzo può giocarci ma ha inevitabilmente bisogno di tempo per assimilare i movimenti. Nel primo tempo è sembrato piuttosto impacciato, ecco perché a un certo punto della gara il tecnico gli ha consigliato di allargarsi un po’ di più per cercare il dribbling e il rientro sul sinistro. Non gli è riuscito alla perfezione, anzi, in più di un’occasione si è pestato i piedi con Abdulhamid facendo gli stessi movimenti del quinto arabo.