Il Tempo (S.Pieretti) – La recessione da coronavirus colpisce anche il mondo del calcio, ma i club di Serie A vogliono riuscire a superare la crisi con le proprie gambe, trovando la soluzione all’interno del proprio sistema. Ieri pomeriggio c’è stato un confronto con le componenti politiche, alle quali i rappresentanti del mondo del calcio hanno manifestato l’intenzione di non chiedere contributi governativi, né sgravi fiscali. Il «Calcio» ha chiesto la revisione di alcune leggi, tra le quali quella relativa al professionismo (del 1981) e la Legge Melandri, meno datata ma ampiamente superata dagli eventi. La proposta del taglio agli ingaggi dei calciatori, con un 15% in meno nelle buste paga dei tesserati, è un’altra strada per ammortizzare l’ammanco economico di queste settimane: le perdite dovute allo stop forzato della stagione – qualora si concludesse il campionato – sarebbero comunque di 200 milioni, un deficit da sostenere tra le 20 società di A. Ma qualora il campionato di calcio non ripartisse, i danni ammonterebbero a 650 milioni. “In questo momento di emergenza il taglio degli ingaggi non è da considerarsi un tabù – ha annunciato ieri il presidente federale Gabriele Gravina – ci dobbiamo mettere tutti intorno a un tavolo, la crisi e l’emergenza valgono per tutti e anche il nostro mondo deve avere la capacità di essere unito. Siamo chiamati a un gesto di grande responsabilità”. Ma l’Assocalciatori prende tempo per valutare meglio la situazione. “Il tema della sostenibilità è di estremo interesse per tutti quelli che vivono all’interno del sistema calcio – ha dichiarato il presidente dell’Aic Damiano Tommasi – tutti abbiamo l’interesse che l’equilibrio economico venga preservato, e proprio per questo dobbiamo valutare tutti gli elementi del momento, dai mancati introiti, al rinvio delle competizioni, fino alla cancellazione degli eventi. E ancora i contributi governativi, gli aiuti federali e sostegno delle istituzioni internazionali. Tutti questi elementi ci diranno quale sarà il ruolo dei calciatori”.