Il Messaggero (S. Carina) – Il fulmine di Osimhen ha squarciato il cielo delle certezze romaniste. Ben più dei 6 gol di Bodø dello scorso anno,poi cancellati e dimenticati nella notte di Tirana. Da domenica il dibattito è aperto: quello 0 alla voce tiri in porta è come se avesse scoperto un vaso di Pandora che da tempo ribolliva silente portando con sé riflessioni e dibattiti sul reale valore della Roma. Incensata in estate, dopo gli arrivi di Dybala, Wijanldum e Matic, discussa in autunno dopo che al termine della 15esima partita stagione. Mourinho ha gà collezionato 5 sconfitte tra campionato e coppa. Eppure se si sta uno squadro alla classifica la Roma è lì, a due punti dal terzo posto, con grande possibilità di garantirsi l’accesso ai playoff di Europa League, battendo giovedì l’Helsinki e poi il Ludogorets.
Da un lato quindi i numeri, dall’altro il gusto per un calcio diverso, più propositivo. Che emerge di colpo quando ad esempio hai davanti il Napoli, costruito e rivoluzionato in un’estate dove nessuno dava credito all’operato di Giuntoli, De Laurentiis e Spalletti. I numeri però continuano a dare ragione a José: la Roma, al di là di una stagione aperta a qualsiasi epilogo, è 4ª per tiri in porta (56), dietro soltanto a Napoli (72), Inter(62) e Milan (57) ma davanti ad esempio ad una realtà come la Lazio (55), 3ª in classifica, o alla Juventus (49).
Fonseca l’aveva ribattezzata “l’efficacia”, peculiarità che la Roma non aveva con Paulo e non sembra possedere nemmeno con Josè. Che domenica sera è sembrato per la prima volta in difficoltà davanti ai media. Attaccando per non essere attaccato, sviando l’attenzione per non esaminare i reali problemi della squadra. Il non voler rispondere a domande dirette sugli attaccanti, ha lasciato spazio a qualsiasi tipo d’interpretazione. A difesa di Mou va detto che se in estate si costruisce una squadra con l’idea di far giocare insieme almeno 4 tra Wijnaldum, Dybala, Pellegrini, Zaniolo e Abraham e ora si fa la conta dei superstiti, non può non avere il suo peso. Il tecnico ha accennato qualche giorno fa: “Per alcuni se non gioca A, c’è B. Se non c’è B, tocca a C. Senza paulo e Gini ho dovuto cambiare modo di giocare”. Una necessità, quindi, non una scelta. Optare per una linea a 5 ha regalato spazio a Camara, troppo anarchico per una mediana a 4, ma ha sacrificato Pellegrini che al netto delle problematiche fisiche, ha perso la centralità della passata stagione. Una volta play, un’altra mezzala, un’altra ancora in marcatura sul regista avversario. Lo stesso dicarsi per Abraham che, al di là dell’involuzione, gioca sempre meno guardando la porta avversaria.
Ma il problema più sottovalutato nella Roma sono gli esterni. Nel 3-5-2 sono i laterali che debbono creare la superiorità numerica e aprire gli spazi. Karsdorp, Celik e Spinazzola, invece, non crossano, non sfornano assist e non segnano. Anche Zalewski, sballottato a destra, fatica a emergere. Detto ciò, chi si sorprende oggi per come gioca Mourinho, arriva in ritardo di qualche anno. Perché il calcio di José siconosce: è sempre quello, non cambia. Lo Special è abile a preparare le gare sull’avversario, a sfruttarne le debolezze per poi punirlo giocando sull’episodio. L’impressione è che José -conoscendo le reali condizioni del gruppo – abbia deciso di resistere. L’obiettivo è arrivare alla sosta tra le prime per poi giocarsi l’all-in con i rientri di Dybala e Wijnaldum.