Quando la gente non crede più ai sogni, il passato all’improvviso diventa nostalgia. Giusto o sbagliato? Abbiamo voluto chiederlo a Rosella Sensi, l’ultimo presidente prima dell’era americana, che ci accoglie a Villa Pacelli col sorriso radioso di una donna che sarà di nuovo madre fra un mese. Ad appannarlo, però, ci pensa la Roma, su cui dice meno di quello che può. Ma basta saper leggere tra le righe per capirne di più.
Lei è andata via fra le contestazioni e in questi giorni siamo tornati allo stesso punto: che cosa ne pensa?
«Senta, ho passato due anni pieni di malinconia perché il calcio scandiva la mia vita, anche se ho sempre ricevuto affetto da parte dei romanisti. Ho lavorato per il Comune (delega olimpica, ndr) e ora faccio con piacere la mamma e la tifosa. Ho ricevuto tante critiche ingiuste a cui potrei replicare, ma non lo faccio. Dico solo che, come è stato sbagliato pensare solo a distruggere il buono che avevamo lasciato, sarebbe altrettanto sbagliato farlo adesso».
C’è un dirigente che ha detto ai tifosi: «Spegnete le radio, accendete il cervello». È una città ammalata di parole?
«Lei sa che per tre anni, fino al 2012, ho dovuto girare con la scorta della Digos per le minacce ricevute? Quando i risultati non arrivano i tifosi sono sempre arrabbiati e lo capisco. L’importante è non superare mai i limiti».
Errori però ne avete commessi tanti. E i conti non erano impeccabili.
«Visti i risultati, credo che gli errori non siano stati poi così tanti. Certo, sbagliamo tutti e io credo di averlo fatto nella comunicazione, quella non borsistica. Però che la Roma stesse per fallire è una favola perché ci sono bilanci certificati che attestano il contrario. La controllante Italpetroli era un’altra cosa, ma perché si è assunta i debiti del club. Lì da un certo punto in poi non abbiamo messo tanta attenzione, però proprio a causa della Roma».
Ma la vostra gestione non era troppo familiare?
«No, era un mix giusto che ci ha permesso di valorizzare Conti, Pradè, Montella, Stramaccioni, Mazzoleni e tanti altri. Certo, il calcio ha bisogno di rinnovarsi, ma attraverso una strategia complessiva su stadi, razzismo, merchandising, non solo per singoli temi».
Come giudica la politica di UniCredit verso la nuova Roma?
«Con noi è stata molto attenta, adesso dà molta fiducia. Ci saranno delle ragioni».
Da ex amministratrice pubblica, le pare etico che le banche facciano molto credito alle società di calcio e molto poco ai cittadini?
«Il calcio è un’industria che produce parecchio, ma occorre dare fiducia anche alla gente. Non si possono usare misure diverse quando ci sono persone che stanno male».
Sul caso Soros sappiamo che ci sono verità inconciliabili, ma era davvero quella americana la migliore proposta d’acquisto per la Roma?
«Diciamo che è quello che risultava agli advisor, ma non eravamo noi a ricevere le offerte. Su Soros non parlo più, tanto sarebbe inutile».
Vero che lo sceicco Al Qaddumi aveva contattato anche voi in passato?
«Non abbiamo mai intavolato trattative con persone di cui i nostri advisor non avessero verificato la credibilità».
Come ha giudicato Luis Enrique e Zeman?
«Io avrei puntato su Montella e non avrei esonerato Zeman».
Ma si dice che nel 2005 lei non prese il boemo per un veto di UniCredit.
«Diciamo che fu una scelta delicata in cui vennero fatte diverse valutazioni».
Qual è il giocatore della Roma attuale che preferisce?
«Sempre Totti. E pensare che quando gli rinnovai il contratto l’ultima volta, qualcuno diceva che 5 anni erano troppi».
Ha rapporti con i nuovi dirigenti e i calciatori giallorossi?
«Con i dirigenti nessuno, con qualcuno dei ragazzi a volte sì. Si figuri che quando perdevano mi dicevano scherzando: “Adesso non ci può mandare in ritiro”».
È necessario davvero un presidente sempre presente?
«Sì, occorre un grande ombrello che prenda le critiche e protegga la squadra. In Italia abbiamo bisogno sempre di un punto di riferimento».
Le piace il nuovo logo?
«Sono una romantica: non lo avrei cambiato. Bisogna rispettare le tradizioni».
Tornerebbe a fare l’amministratrice pubblica o la dirigente?
«Non mi sono candidata alle elezioni, ma sono sempre innamorata della mia città. La Roma? Mi manca,malasciatemi fare solo la tifosa».
Essere dirigente della Roma, a Roma, può dare alla testa?
«Certo, può farti perdere il senso della realtà. Meno male che la mia famiglia mi ha fatto tenere i piedi per terra. E voglio dire una cosa a Claudio Lotito: per numeri, fatti e successi la prima squadra della Capitale è la Roma, se ne faccia una ragione. Detto questo, mi sono stancata di perdere, voglio ricominciare a vincere ».
Scusi, ma ha mai avuto un fidanzato laziale?
«Sì, è capitato. D’altronde nella vita sbagliamo tutti…».
Gazzetta dello Sport – M. Cecchini