La Repubblica – Circondato. Da una parte mister Dan e mister Ryan che staccano assegni mensili tra i dieci e i quindici milioni, sapere e decidere su tutto. Dall’altra lo Special One, al secolo José Mourinho, l’allenatore che ha fatto della comunicazione un’arte, una storia tra il mitico e il leggendario, ventisei trofei in bacheca, uno pure colorato di giallorosso, un guru seguito senza se e senza me dai discepoli di una tifoseria che sa amare come nessuna.
E in mezzo c’è lui, Tiago Pinto da Lisbona, general manager e direttore sportivo di una Roma che vorrebbe pensare e agire in grande ma non può farlo. La conseguenza è che quando vince è la Roma di Mou, quando perde è di Pinto.
Scomodissima la posizione del Renzi lusitano (gli assomiglia no?). Al punto che è stato messo da tempo sul banco degli imputati e le sentenze sono state tutte di colpevolezza. E senza nessuna attenuante generica a mitigare la pena. ‘Sta cosa a chi scrive garba poco. Anche perché hanno tenuto a dirci che si vince e si perde in undici, che la Roma è una famiglia, che le responsabilità, quando ci sono, vanno divise tra tutti. E invece pare che da queste parti le colpe siano solo e sempre di Tiago.
Per carità, il giovane dirigente non è stato esente da errori. I trenta milioni (abbondanti) spesi per Shomurodov e Vina sono stati bocciati dal campo. Le difficoltà a vendere una serie di giocatori ereditati e con stipendi da prima fascia, sono un altro aspetto che ne evidenzia un’inesperienza figlia dell’età, ma anche di mancanza di complicità nel mercato che è il pane quotidiano per tanti suoi colleghi. La stessa grottesca cessione di Zaniolo non si può definire un successo per comportamenti, scelte e numeri
Ma non può essere che Shomurodov lo prende Pinto e Dybala arriva grazie a Mourinho. Perché tutti i giocatori arrivati a Trigoria negli ultimi due anni, hanno avuto il sì anche dello Special One.