La Gazzetta dello Sport (D.Stoppini) – Alle 11 di una domenica qualunque, di un febbraio qualunque, vigilia di una partita qualunque, avviene quello che in 23 anni mai era capitato. Luciano Spalletti convoca Francesco Totti nel suo ufficio di Trigoria: i giornali a portata di mano, il tono di voce neppure troppo alto per dire al capitano che «con quelle parole abbiamo fatto parlare in tutto il mondo, secondo me non hai la concentrazione giusta per la partita di stasera, è meglio che tu vada a casa». Totti lo guarda e risponde secco: «Non penso di averti mancato di rispetto. Io sono concentrato, ma se tu pensi il contrario, vado». Un minuto scarso per scrivere un pezzo di storia della Roma. Trenta minuti dopo Totti è già fuori da Trigoria, dopo aver incrociato gli sguardi di alcuni compagni, tra cui Alessandro Florenzi e Miralem Pjanic: il tempo di raggiungere a casa la famiglia e la notizia ha già fatto il giro del web.
RIFLESSIONI – È la cronaca di uno strappo, di un terremoto, della fine di una storia d’amore in un modo che neppure lo scommettitore più incallito avrebbe mai immaginato. È un legame buttato all’aria in poche settimane, un incendio prevedibile (o previsto?) da oltre un mese, innescato giusto 24 ore prima da un botta e risposta virtuale tra i due protagonisti: più o meno mentre Totti registrava l’intervista alla Rai, Spalletti ne annunciava l’impiego dal primo minuto, solo dopo aver lanciato l’ennesima frecciata: «Totti deve stare di più dentro al gruppo, in passato in questo senso ho sbagliato anch’io con lui». Il pomeriggio scorre via sul filo dell’attesa per l’intervista che andrà in onda all’ora di cena. Ma le prime indiscrezioni lasciano presagire la tempesta. Spalletti ascolta. Ci vuole riflettere su tutta la notte, rinuncia all’istinto di prendere una decisione a caldo. Chissà, probabilmente il tecnico si confronta pure con la dirigenza e con il presidente che solo un mese e mezzo fa ha deciso di riaffidargli la panchina della Roma. La lettura dei quotidiani della mattina fa il resto. Totti fa colazione con il resto dei compagni, poi riceve la convocazione di Spalletti. Crede che il tecnico voglia semplicemente chiarire, non immagina di dover lasciare il ritiro.
ALTRE PAROLE – Questo accade, invece. Nel primo pomeriggio comincia a diffondersi la voce che Totti sarebbe comunque andato allo stadio, da spettatore. Proprio mentre cresce l’attesa per il resto dell’intervista, il contenuto integrale, diffuso dalla Rai mentre la Roma è già in viaggio verso l’Olimpico. «Nel bene o nel male, l’importante è che si parli di me – ha detto il capitano –. In questo momento fa più male il silenzio che dire qualsiasi cosa che non serve. Io sono un tipo abbastanza chiuso, ascolto, medito e al momento giusto parlo. Mi dispiace stare in panchina, è normale, ho voglia di giocare. Ho sempre dato tanto a questa Roma, vengo da un infortunio, ma da uno-due mesi sto bene, perciò ora è solo una scelta tecnica, fisicamente sto molto bene». E ancora: «A Garcia ho mandato gli auguri, con lui ho un rapporto bellissimo. In questo momento la Roma è la mia unica squadra. Ma lascio tutte le porte aperte. Qualsiasi cosa possa succedere la valuterò. A Trigoria arrivo per primo e vado via per ultimo, mi sento ancora giocatore, non so cosa farò da dirigente, da allenatore, da secondo, a giugno deciderò il mio futuro, l’ultima parola spetta sempre a me. La frase al cronista spagnolo? Ne ho fatte 3.000 di quelle battute. Ho detto “che ci fai ormai con me?”. Tanto non gioco, non faccio nulla, che ci fai? Era una battuta. Ma qui, se ti rode non va bene, se ridi non va bene…sbaglio comunque, e allora faccio quello che mi sento di fare. Non c’era un riferimento né al presidente né all’allenatore».