Corriere della Sera (C.Gatti) – Non c’è giovane che possa ridere dei vecchi, perché presto o tardi diventerà vecchio pure lui. La vita ha una ritmica inflessibile, non c’è verso di cambiarla. Per un certo tempo, Totti ha tentato l’impossibile: fingere che il ritiro non fosse faccenda sua. Adesso che glielo impone la nuova dirigenza, con promessa di futuro impiego, finalmente torna nel reale: è un colpo di tacco magistrale, anche se al 98’, un attimo prima dell’eliminazione, un secondo prima di rovinare tutto. La sua carriera è già unica e indimenticabile, giocasse ancora dieci anni non aggiungerebbe niente di originale (a parte il record di longevità, lanciando il pannolone alla curva). Per chi l’ha ammirato sul serio, è importante vederlo uscire in un certo modo: serenamente, in pace con la Roma, in pace con se stesso.
Certo Spalletti non si è rivelato il migliore degli accompagnatori, in questa tribolata uscita, con quel suo gusto narcisista di trattare anche l’icona popolare come l’ultimo degli stagisti, cacciato dal ritiro, buttato in campo quando si gioca per finta. Gli ha concesso l’obolo di altre presenze, ma finendo per amplificare una fragorosa assenza. È andata così, inutile rimestarla: la vita vera non è un film, impossibile girare la stessa scena finché non viene perfetta. Quando dal finestrino si comincia a intravedere l’ultima fermata, conviene solo prepararsi a scendere. È già successo ai Maldini e ai Del Piero, toccherà anche a Buffon. Parliamo delle bandiere, dei preziosi reperti di un altro calcio che quello moderno ha relegato negli scantinati dei musei. Totti fa la cosa giusta, al momento giusto. La sua storia non avrebbe sopportato il penoso finale da sopportato. Bravo Francesco, hai tirato fuori il talento anche per il dribbling più virtuoso: scartando di netto l’umiliazione.