La Repubblica (M. Mensurati/F.Tonacci) – L’inchiesta sulla maxi tangente della Fifa arriva a un passo dalla poltrona di Sepp Blatter. Fu il suo “numero due”, il francese Jérôme Valcke a disporre i tre bonifici da dieci milioni di dollari che, secondo l’Fbi, servirono al Sud Africa per aggiudicarsi l’assegnazione della Coppa del Mondo del 2010. Lo scrive il New York Times citando diverse fonti ufficiali vicine al dossier del general attorneydi New York. Secondo queste fonti, all’interno dei documenti raccolti durante l’inchiesta, ci sarebbero più elementi che autorizzano a ritenere che «l’alto dirigente della Fifa» così citato nel provvedimento eseguito la settimana scorsa a Zurigo sia proprio il segretario generale Fifa, uomo vicinissimo al neo (ri) eletto presidente Blatter.
Per capirsi: fu il vecchio Sepp a salvarlo quando, nel 2006, un giudice di New York scoprì che, da direttore del marketing della Fifa, egli aveva ripetutamente mentito durante alcune contrattazioni per la sigla di alcuni accordi di sponsorship con Mastercard e Visa. Ora Valcke è di nuovo nei guai, e stavolta rischia di trascinare con sé Blatter. Anche se nei documenti dell’Fbi non è specificato se il dirigente francese, al momento di emettere quei pagamenti, nel 2008, avesse idea che si trattasse di una mazzetta. E del resto, riferendosi a lui, l’Fbi lo identifica semplicemente come «high ranking official» e non come «co cospirator», definizione invece attribuita agli altri indagati. Insomma, non è ufficialmente sotto inchiesta. Almeno per ora. Raggiunto via mail dal giornale newyorchese, Valcke si è detto del tutto estraneo ai fatti, affermando di non aver mai disposto quei pagamenti e di non averne neppure avuto il potere. La vicenda di quella mazzetta era stata raccontata all’Fbi nei dettagli da Chuck Blazer, il pentito di questa inchiesta, l’ex dirigente Fifa che aveva assistito, passo passo, a tutta la manovra, ricavandone anche una cospicua parte della tangente.
«Il comitato organizzatore del Marocco ci aveva offerto un milione di dollari per pilotare il voto segreto», disse all’Fbi. C’era un miglior offerente, però. Il governo e il comitato organizzatore sudafricani, che erano pronti a pagare 10 milioni di dollari alla confederazione caraibica da loro controllata, con questa curiosa giustificazione: «Sostegno alla diaspora africana». La diaspora non c’entrava niente. Era la grande torta — di cui a lui sarebbe spettata una fetta da un milione — per votare, insieme a Warner e un terzo soggetto del comitato (non identificato), a favore del Sudafrica. E così accadde: il 15 maggio 2004, a Zurigo, dalle urne Fifa vennero fuori 14 voti per il Sudafrica, contro i 10 del Marocco (nessuno votò per l’Egitto, terzo candidato). I dieci milioni «per la diaspora» arrivarono nei mesi successivi, prelevati dal fondo che la Fifa aveva predisposto per l’organizzazione di quei mondiali. Tre bonifici finirono sui conti dei presunti corrotti: uno da 298.000 dollari, il secondo da 205.000, il terzo da 250.000. «Non era una tangente — si è difeso due giorni fa Danny Jordaan, il presidente del comitato promotore del Sudafrica — Quei soldi non erano altro che un legittimo contributo ad un fondo per lo sviluppo del calcio nei Paesi caraibici», di cui Jack Warner (il complice di Blazer), era il presidente della Federcalcio. Gli investigatori americani credono invece che si trattasse di un tentativo, per altro perfettamente riuscito, di comprare voti per la candidatura sudafricana. Quello che vorrebbero capire, adesso, è non tanto se Valcke al momento di disporre quei bonifici avesse capito. Ma cosa sapesse Blatter.