Gianluca Scamacca è il principale obiettivo per l’attacco giallorosso. Il centravanti del West Ham spinge per tornare nella Capitale, mandando segnali più o meno velati sui social e non solo. La trattativa però non si è ancora sbloccata. Il classe 1999 ha rilasciato una interivsta a Cronache di Spogliatoio nella quale ha parlato anche della sua esperienza alla Roma. Queste le sue parole:
Sul campionato inglese e sull’infortunio.
“In Premier League, dove il fisico è una componente rilevante, se non sei al 100% ti spazzano via. Quando sono stato bene, in un mese ho segnato 5 reti. Poi i problemi: prima il ginocchio sinistro che faceva male, poi il destro. A dicembre è venuto fuori che avevo una lesione al menisco esterno che non mi permetteva di performare. Avevo un edema intrarotuleo che si era creato dal menisco: quando mi sono operato, mi hanno tolto un pezzettino di corpo. È andata bene, ma è stato uno schiaffo perché era il primo infortunio della mia vita. Non potevo muovermi, vivevo con le stampelle. Me pareva de annà lento, più lento degli altri. Però chi va più lento, ha maggior possibilità di osservare“.
Sull’addio alla Roma
“Un punto d’arrivo non lo raggiungerò mai. Nella mia testa mi pongo sempre due tipologie di obiettivi: uno a breve termine, l’altro a lungo. Anche se nella prossima stagione dovessi segnare 20 gol, al ventesimo punterei a farne 22. Sono molto duro con me stesso, molto pretenzioso. Fin da quando giocavo per strada nel mio quartiere di Roma. Sono uno di strada, nato nella strada e cresciuto per strada. Proprio per questo ascolto Rondo, Shiva e Capo Plaza. Mi rivedo nei loro racconti, quando dopo gli allenamenti mi fermavo sotto casa con i miei amici a provare le nuove skill. Quando ho lasciato la mia città da ragazzo per andare in Olanda, è stata una mazzata. Volevo provare questa esperienza che mi affascinava e farmi una cultura: non mi pento di niente, i Paesi Bassi sono una scuola di calcio. Ma ho iniziato a sentire la mancanza e sono tornato. Forse non avrei dovuto farlo. Ero piccolo, mi ero stufato. Quando sono partito, le squadre italiane non investivano sui giovani. E puntavano sul collettivo: in Olanda, invece, vogliono l’evoluzione del singolo. Al mio ritorno, la filosofia era cambiata. Sono tornato a casa tra un prestito e l’altro. Sentivo la lontananza. Ne è valsa la pena: pochi anni dopo ho esordito in Serie A, al Maradona, contro il Napoli. In quei 15 minuti non ho capito niente, ho ricordato le prime volte in cui andavo all’Olimpico. Mi è tornato in mente quando dalle giovanili della Lazio passai a quelle della Roma: al cuore non si comanda. Guardavo Totti mentre facevo il raccattapalle e non gli staccavo gli occhi di dosso”.