Il Corriere dello Sport (A. Giordano) – Il silenzio è un cono d’ombra nel quale starsene avvolto, lasciando che i pensieri penetrino nelle nuvole di fumo: un anno, una (altra) storia, con le emozioni che si ingrossano nel discorso (secretato) di pochissime parole. «Non si fanno calcoli, ragazzi». L’aritmetica è un’opinione vaga, da demolire attraverso le certezze, rispolverando se stesso, il calcio verticale di Maurizio Sarri, e risistemandolo al centro del (proprio) villaggio, che ora è Napoli mentre nell’aprile del 2014 veniva rappresentato da Empoli. Il mondo è una palla che, rotolando, ha aiutato a percorrerne di strada, saltellando dalla salvezza (virtualmente) raggiunta con il 2-2 sull’Atalanta, 365 giorni fa, a quella Champions che può essere afferrata per catapultarsi in una nuova dimensione e scoprire il senso pieno della vita.
ALL’ATTACCO – E’ stato (meravigliosamente) bello, questo viaggio di Maurizio Sarri, utile per togliere il velo sulle disattenzioni d’un calcio che sbadatamente l’ha lasciato per troppo tempo in periferia: ma ora che arriva Roma-Napoli, e contiene in sé l’essenza, è vietato distrarsi, divagare per i sentieri della stagione, immalinconirsi su (eventuali) rimpianti. E l’ora e mezza ch’equivale alla verità, una sentenza da pennellare sul marmo del campionato, e non ci sono alternative, né scorciatoie, men che meno fughe dalla propria natura: c’è un calcio, ed è quello di questi sette mesi, e sarà necessario esibirlo con naturalezza e privo di impedimenti, sfuggendo all’idea di lasciare che siano gli altri a tuffarsi nella partita ma appropriandosi (immediatamente) del pomeriggio, giocare in scioltezza – un tocco e via – cercare el pipita per farlo sfogare, però mica soltanto lui. «Facciamo ciò che sappiamo».
L’EXPLOIT – Meno quattro e pure questa è una favola, che ha principi azzurri: perché sono stati due anni amari, attraversati a testa alta, prima d’accorgersi ch’esiste la frustrazione d’una eliminazione nel preliminare o, peggio ancora, l’illusione d’un rigore a quindici minuti di uno “spareggio” che diviene incubo e trasforma un potenziale terzo posto nel surreale quinto che trascina in Europa League, il purgatorio dell’alta società. Ci sarà un momento, eventualmente, in cui Sarri potrà interrogarsi o magari, volendo, specchiarsi in questo piccolo capolavoro: però adesso, e valga per tutti, per i suoi adorati interpreti («io con loro mi diverto, mi danno il piacere di allenare»), non è consentito distrarsi, né sottrarre al codice genetico un filo di spregiudicatezza da «amabilissime canaglie». C’è la Champions all’orizzonte, in quelle notti che andranno riempite da musica per le proprie orecchie, e prendersela sa d’incoronazione o comunque d’investitura, un ulteriore mantello di autorevolezza con il quale andare incontro a questo futuro.
PARADOSSI – E’ una domenica d’insolita quiete che precede la prevedibile tempesta emozionale: c’è la calma piatta di Castel Volturno e neanche un filo di voce per recitare la vigilia, attraverso i propri paradossi o i messaggi subliminali o le sensazioni d’un vissuto o l’ironia per sdrammatizzare, per rendere il meccanismo semplice, pallavanti-palladietro-palla nello spazio – che conduce in quell’infinito che sembra la distanza dal 25 aprile dell’anno scorso a quello ch’è arrivato. E’ un uscio spalancato dinnanzi a sé, di fronte a Napoli, oltre quell’uomo in tuta: e non dite ch’è classe operaia che s’accinge ad intrufolarsi in Paradiso. «Ragazzi, niente calcoli». E’ una scuola di pensiero, è un modo di essere, è la rivoluzione («che si fa anche con diciotto-ventiquattro uomini») per risistemare i conti con il destino.