Walter Sabatini ha rilasciato delle dichiarazioni ai microfoni di Calciomercato.com. Tra gli argomenti trattati la sua esperienza alla Roma ma non solo. Ecco le sue parole:
Ricorda quando parlava della Roma spiegando la difficoltà di riconoscersi come persona fisica al di là del ruolo?
Sì, ero il ds del club in qualsiasi momento della giornata, qualsiasi cosa facessi.
A Roma hanno capito tardi che lavoro aveva svolto e che patrimonio avrebbe lasciato al club.
Normali dinamiche della vita, i morti riscuotono sempre più successo dei vivi. Ma da morti si sta bene, non è come dicono.
Mi fa pensare che è finalmente riuscito a staccarsi da quel contesto.
È che sto assistendo ai miei funerali con un certo distacco. Non sono più in quel vortice di sentimenti, che invece adesso si sta accendendo per il Bologna. Non voglio essere banale, ma ammiro molto i miei calciatori, mi emoziono ogni volta quando li vedo scendere in campo e mi batte il cuore quando Tomiyasu interviene in scivolata e poi gioca con pulizia la palla usando il piede debole. Mi emoziono anche quando Palacio brucia in velocità ragazzini di vent’anni più giovani, quando Barrow rientra e calcia all’incrocio, quando Danilo vince un duello aereo e Gary Medel esce vincente da un tackle scivolato. Ma in generale mi emoziono quando gioca la mia squadra, cioè il Bologna, che per me è motivo d’orgoglio. Sinisa Mihajlovic ha dato a questa squadra un volto, una mentalità, un modo di essere e interpretare la partita, che agevola di molto la prestazione individuale di ognuno di loro.
Le piace l’etichetta di visionario del calcio?
Mi piace perché penso sia vera.
Che padre è stato?
Fisicamente assente, ma vicino con l’anima. Posso dire di avere un figlio speciale, ma lo è stato fin da bambino, con quella sua commovente passione per la Roma e per Dzeko, nonostante adesso io non ne faccia più parte. Ha sempre amato Edin, fin dai tempi del City, ricordo ancora i suoi occhi quando gli dissi che sarei partito per andare a trattarlo. «Santiago, papà deve andare via per un giorno, vado a comprare Dzeko». «Dzeko alla Roma? Non è possibile». «Non torno senza». Gli feci questa confidenza, so che non tradirebbe mai la mia fiducia. Il giorno dopo i giornali aprirono con la notizia “La Roma pensa a Dzeko”, mi chiamò in lacrime giurandomi di non aver parlato con nessuno. Gli risposi di non preoccuparsi e che sapevo non appartenesse a lui alcuna responsabilità. Senza Santiago sarei probabilmente già morto, è la mia luce. La giustificazione della mia vita.
Quanto è importante la sofferenza nella sua vita?
Soffrire è un diritto, come lo è la solitudine, anche se queste esigenze vengono recepite con sussiego. L’isolamento rimane il modo migliore per metabolizzare un dolore e per venirne fuori. Nella solitudine e nella sofferenza si coltiva l’intelligenza sensibile, ben diversa da quella analitica. Quella può essere pericolosa. Mi capita anche dopo una sconfitta, che vivo esattamente come 25 anni fa. Me ne sento responsabile, a volte penso che potrei digerirle con uno spirito diverso ma poi arrivo alla conclusione che la mia forza è proprio questa. Viverla esattamente in questo modo.
Cos’è la sconfitta?
Qualcosa di intollerabile, di indecoroso. Mi toglie dignità, mi costringe ad abbassare lo sguardo.
Si aspettava che Spalletti rimanesse tanto tempo ai margini?
È stata una sua scelta, di occasioni per tornare ne ha avute molte ma ha preferito staccare per un po’ da un mondo che consuma. Ci sono tanti esempi del passato, a volte bisogna prendere una boccata d’aria perché lo stress è alto. Lui è andato a fare il contadino, sta respirando aria buona.
Qualche suo ex calciatore sostiene vedesse troppe ombre, temendosi al centro di discorsi diffamatori ogni qual volta si creava un gruppetto lontano da lui.
Non bisogna mai ascoltare i calciatori che parlano dell’allenatore dopo, così come non bisognerebbe ascoltare i discorsi degli impiegati che parlano del capufficio dopo la conclusione del rapporto. Spalletti è un provocatore, attinge alla sua genialità. I calciatori sono poco attendibili, ha ragione Márquez, La vita non è quella che si è vissuta, ma quella che si ricorda e come la si ricorda per raccontarla. E io conservo meravigliosi ricordi di Spalletti.
A proposito, come va col fumo?
Ho smesso con le sigarette da adulto, adesso fumo quelle per bambini. Ho dovuto comunque adottare un succedaneo come la sigaretta elettronica perché senza fumo non tolleravo una riunione per più di tre minuti, andavo in sofferenza e non sopportavo più nessuno. Adesso sono nuovamente un animale sociale.
Non sento più la voce rotta dalla tosse e neanche l’affanno.
È vero, mi sento bene. Fatico a contenere le energie. Posso contare su una riserva di vitalità che voglio destinare al Bologna.
Nel calcio è difficilmente decifrabile, ma c’è qualcuno che sappia decodificare i suoi silenzi?
Mia moglie.
In sei anni a Roma appariva e scompariva, nessuno riusciva a pescarla con le mani nel sacco durante una trattativa.
Mi sono specializzato nel trasformismo.
Ci sarà stato qualche cameriere che l’ha ripresa di nascosto col cellulare o qualche albergatore in un sottoscala…
L’importante è che non mi abbiano visto o ripreso con qualche donna.
Mi racconta la trattativa più esaltante?
Salah. Avevo intuito immediatamente che potesse essere quel tipo di calciatore capace di fare impazzire di gioia i tifosi della Roma.