Il direttore sportivo della Roma, Walter Sabatini, è stato il protagonista dell’appuntamento settimanale di Roma Tv, Slideshow. Queste le sue parole:
Foto d’infanzia.
“Questi sono i miei fratelli, mia sorella Rosalba e mio fratello Carlo, nella casa dove abitavo. Sono io sull’attenti, pur non avendo attitudini militari”.
Sul campo, da bambino.
“Questa è la mia prima squadra, la prima volta in cui ho giocato a calcio in modo organizzato e ho pensato bene di disorganizzare tutto. Squadra di Marsciano, che faceva un torneo cittadino. Sciaguratamente qui manca qualcuno. È stata la mia prima vera grande emozione, un campo con le porte vere e le linee. Ero un fenomeno. Sì. Si chiamava Tripoli questa squadra”.
Il padre.
“Remo. Faceva il piacione. Somiglio molto a mio figlio, incredibile! Da dove viene fuori? Bella!”.
Col Perugia.
“Serie B ‘73-’74. Un bel rapporto con la palla, ero attratto da quell’oggetto sferoidale. Forse era già serie A, l’anno dopo. Il calcio era più semplice, romantico. Questo è lo stadio Santa Giuliana, oggi è stato smantellato, si gioca al Curi, in periferia”.
Con la Roma.
“Ritiro a Norcia. Notate la mia espressione nel gioco aereo, lo sguardo considerato irriguardoso. La mia grande illusione, quando sono venuto avevo 21 anni ma mi sentivo vecchio. C’era un presupposto per costruirsi una bella storia, ma ero molto limitato, cerebralmente, tecnicamente ero formidabile. Ho visto Santarini, parlammo di quella vita con Liedholm. Era un pallone Pirelli, difficile da controllare, in gomma. Normalmente si usava quello i primi giorni di lavoro”.
In formazione, col Perugia.
“Non ci credo! Avevo uno sguardo sonnolento, mi pare. Era uno sbadiglio. Il mio esordio, a 18 anni. Mancano Vanara, Vitulano, Lombardi. Credo che possa essere la mia partita d’esordio contro l’Atalanta. Ero un funambolo e dovevo marcare il trequartista avversario, Pirola. Io non vedevo neanche il campo dalla paura, non sapevo da dove iniziare. Mai rincorso un uomo in vita mia fino a quel giorno”.
Con Curi.
“Gli piaceva fare il fotografo. Lui ha introdotto la voglia di fare foto e riprese in squadra. Era un grandissimo giocatore. L’avete presa a casa mia questa foto, credo che sia l’unica foto che ho voluto conservare della mia vita. Anche perché lo si può apprezzare, sembra che la luce se lo inghiotta. Infatti è stato così (visibilmente commosso, ndr). È stato così due mesi dopo”.
Con Rocca.
“Il più grande con cui abbia giocato. Ho giocato anche con Conti e Di Bartolomei, ma reputo che questo sia stato il più grande, era un atleta impressionante, giocava con entusiasmo, generosità, forza, voglia e capacità tecnica. Quando lui si è fatto male ho pensato che si fosse perpretrata un’ingiustizia sovrannaturale, aveva già fatto più di 20 gare in nazionale a 21 anni. È stata una perdita incredibile. Mi ha fatto tristezza rivederlo giocare, non era più lui, aveva perso forza e tonicità, ha giocato quasi zoppicando. In quello stesso anno in cui la Roma si è fatta male, la Roma fece una tourneé in America, lui zoppicava e per contratto doveva andare in campo e usciva dopo cinque minuti, inquietante. Un peccato perderlo a 22 anni. Non c’era la zona, si creavano voragini in campo, io ero in panchina e quando lui si autolanciava si sentiva il gorgoglio dello stadio che diventava un boato”.
In ritiro con la Roma.
“Eccolo Francesco, stava ancora bene lì. Tutti ragazzi splendidi, non era una grandissima squadra ma c’erano elementi che l’avrebbero resa grande, c’era Agostino, Bruno, Picchio De Sisti. Quando guardo i centrocampisti cerco di cogliere nel loro comportamento in campo l’attitudine del contrasto indiretto. De Sisti non andava mai in contrasto, anticipava sempre. Potrei parlare una vita, vedo Peccenini, era uno stopper formidabile, Pellegrini, Pierino La Peste. Ho un pensiero per tutti, potrei per tutti raccontare qualcosa. Liedholm era un affabulatore, personaggio di fascino incredibile, lo hanno già raccontato in molti”.
All’Acqua Acetosa.
“Con Agostino, Bruno Conti, Maggiora, che ha fatto una buona Serie A. Lo vedete dal bottone della camicia quanto fossi bizzarro e poco incline a questo sport. Loro sembrano calciatori, io un vacanziere. Se tornassi indietro mi allaccerei un paio di bottone e mi accorcerei i capelli. È simbolico, disegna il soggetto inadeguato”.
Gabriel Garcia Marquez.
“Mi ha tenuto compagnia, a partire dalla prima volta che ho sfogliato Cent’anni di Solitudine. Dilata la mia vita, scrive in maniera magica, di magie. È l’unica persona che avrei voluto incontrare. Gli devo molto e gli devo per i prossimi anni, quando rileggo quello che ha scritto mi sento in armonia con l’universo”.
Mamma e papà.
“Mio padre che nel frattempo ha perso lo sguardo da conquistatore, mamma non c’è più. È stata una mamma incredibile. Le mamme del dopoguerra erano mamme vere, che accompagnavano i loro figli. Combatteva perché noi tre avessimo la dignità di tutti gli altri. Si lamentava di quanti giorni avesse un mese, diceva che i giorni del mese sono fitti. Lo stipendio negli ultimi giorni era risicato per fare la spesa e comprare le cose per la scuola. Era quasi un pianto quotidiano, 2-3 volte a settimana rientravo a casa con la testa rotta o ricoveri in ospedale. Un giorno disse una cosa che racconto, mi chiese se volevo andare via, perché voleva piangere una sola volta per me. Si chiamava Carola, la chiamavano tutti Lina, non si sa perché”.
Con la moglie e il figlio.
“Quella è Fabiola, la donna che mi ha accompagnato in un momento non bellissimo, che ha sempre creduto che io potessi uscire da un tunnel professionale. Avevo subìto una squalifica grandissima. Lui è un centimetro quadrato, di sette mesi, è Santiago. La legittimazione di tutta la mia vita. La mia vita ha avuto e avrà un valore perché ho avuto questo figlio”.
Con Santiago.
“Un modo di baciarlo, gli dico sempre che lui è il mio respiro e lo costringo a respirarmi in bocca”.
Al Palermo.
“Un momento per me significativo professionalmente, dalla Lazio sono andato al Palermo, era la mia sfida personale. In parte sono riuscito a fare cose con l’aiuto di Zamparini, un grandissimo presidente che mi ha consentito di fare tutto quello che volessi. Andai a Palermo, sembrava fosse una diminutio, invece è stata la mia vera sfida, ci sono andato con l’idea di andare in Champions League, non ci andammo anche per colpa della Roma, che si condannò a non vincere lo scudetto perdendo in casa con la Sampdoria, per differenza reti andarono loro a fare il preliminare. Portare la Champions League in Sicilia sarebbe stata una cosa di grande prestigio. Lui è Pastore, un talento incommensurabile, è venuto a Palermo a 21 anni, una battaglia lunghissima per poterlo prendere. Lo volevano il molti, essere solo il Palermo ci ha agevolato, convinsi la madre che avrebbe mostrato il suo talento solo lì. Un giocatore che illumina una partita, un campo di calcio, ha delle giocate difficilmente replicabili. Penso che stia facendo meno di quanto pensassi, ma fa ancora in tempo, farà grandi cose, spero per lui e per me. Mi piace quando i miei calciatori passati si impongono”.
Con Fenucci, Baldini, Pallotta e Baldissoni.
“Io sono una faccia devastata, son tutti bravi e puliti! Su Baldini mi spiace che siano state dette cose. Devo ringraziarlo. Mi ha portato due volte a Roma, la prima è stata facile convincermi, poi è intervenuto un nuovo fattore e vedendo che l’operazione non si stava concludendo mi ero infatuato della Sampdoria, dei Garrone, col quale mi ero incontrato e mi affascinava. Stavo pensando di retrocedere da quell’impegno, mi erano venuti dubbi. Lui ha preteso che io mantenessi la parola, con me non è difficile, la parola la mantengo sempre. Sono state dette cose che disprezzo, abbiamo avuto un buon rapporto, ognuno col suo carattere. Ha fatto sacrifici per la mia autonomia, lavoro di gomito, voglio il mio spazio. È stato detto che sono diventato bravo senza Baldini, ma lui ha fatto per due anni un grande lavoro, si è dimesso e ho pensato di farlo anche io. Ha prevalso il senso di responsabilità. Se Franco fosse rimasto, sarei andato via io. C’era bisogno di una vittima da offrire. Sono orgoglioso di essere rimasto. Pallotta è una persona affettuosissima e uomo di intelligenza guizzante, farà tutto quello che si è messo in testa di fare. Ho uno splendido rapporto con lui. Baldissoni sta sacrificando gran parte della sua vita per la Roma, è un romanista storico, chiedo sempre a lui. Uomo di grande sensibilità, intelligenza analitica e potente, sta facendo per la Roma qualcosa di importante. Fenucci è un nostro amico, è un grande dirigente, sta facendo una scelta diversa, vuole un’autonomia maggiore. C’era un fatidico ultimo giorno di mercato della prima Roma, è stata una giornata stressante, prendemmo alle 18.55 Pjanic, Gago e tante operazioni. Mi ero messo in testa di portare Pjanic a ogni costo, voli privati, documentazione. Tempestilli e Fenucci furono titanici quel giorno, erano costretti ad assistere a tutti i miei litigi. Una giornata epica”.
Lamela.
“Una delle mie scommesse più grandi. Una specie di sfida, anche con la piazza di Roma. C’era ancora Unicredit coinvolta, l’operazione era impegnativa e complessa, che si prestava a tante interpretazioni, puntualmente offerte in questa piazza. Mi hanno assecondato, volevo che la nuova società si presentasse con un talento puro. Stiamo parlando di tre anni fa, era un investimento su un ragazzino giovane, che aveva 25 partite nel River. Ero convinto che la Roma dovesse fare un’operazione di questo tipo per imporre delle scelte. Ha sofferto il primo anno, è esploso il secondo, poi conoscete la storia. Spero che si imponga a livello internazionale. Forse l’Inghilterra non è il suo calcio, ma fa in tempo”.
La prima Roma americana.
“Vedo Kjaer, che è stato premiato come uno dei migliori centrali di Francia. Non gli è stato perdonato un episodio con la Lazio, che invertì un risultato che era nettamente a nostro favore nell’espressione di gioco. La squadra di Luis Enrique giocava a calcio. Quell’episodio condannò la Roma alla sconfitta e il ragazzo a un futuro incerto, l’ho lasciato andare perché credevo che non avrebbe più potuto far molto. Questo è Luis Enrique col suo staff, sto parlando dell’attuale allenatore del Barcellona. Era un ottimo allenatore, oltre che una persona di una lealtà, onestà e rettitudine non replicabili. Aveva questa capacità, che un po’ lo condannava anche, in virtù di questi principi ha cozzato con una realtà che impone scelte mediate. Gli auguro la fortuna che merita. Non è stata una scelta esclusiva di Baldini, Luis Enrique è venuto a Roma su segnalazione dell’agente e perché io ho letto un’intervista in cui faceva riferimento al cammino di Santiago e a quanto ci si deve sacrificare per il proprio obiettivo. Da lì è partita la nostra idea, Franco lo è andato a trovare a Barcellona e ci siamo accordati nei giorni a seguire”.
L’ufficio.
“Ci sono tappi di bottiglie che stappo quando ce n’è l’occasione con tecnici e collaboratori. C’è una foto a cui tengo molto, quando è stata riportata la chiesa al centro del villaggio. Frase bellissima che ha reso l’idea di come noi pensiamo alla Roma. Sono uomo del disordine, solo nel disordine riesco a chiudere un pensiero reale. Le mie dirimpettaie si attivano ogni tanto per ripristinare ma non ci riescono, vivo bene solamente così. Peccato non ci sia la scrivania per intero”.
Massara e Beccaccioli.
“Ricky lavora tanto, con grande qualità, ha una grande forza e capacità e livello culturale. Ha scontato il fatto che la madre è stata dirigente di alto livello nel Louvre, ha formato un carattere rigido. Simone quando sono arrivato stava andando via, al seguito di Montella. Tempestilli mi convinse a parlargli, dopo un minuto ho capito che sarebbe stata una grande risorsa per me e per la Roma. Ha una funzione bivalente, fa riferimento a Garcia per l’analisi della partita ed è mio talent scout. Con entusiasmo viene con i calciatori da vedere e difficilmente sbaglia, non posso comprarli tutti ma alcuni sì. È un grande collaboratore”.
Zeman.
“E’ un mio grande rammarico. Quando è venuto qui ho pensato che avremmo potuto fare grandi cose. Non è accaduto, mi è dispiaciuto moltissimo l’esonero. Ma non credo che avessimo possibilità diverse. Devo dire che ha dato, anche in un’annata non felice, un grandissimo contributo. Ha fatto crescere grandi calciatori. Mi spiace veramente, speravo di costituire con lui un binomio importante, in una fase in cui si possono mettere da parte convincimenti estremi. Non siamo stati fortunati, ma ha lasciato qualcosa di importante”.
La squadra del 2012.
“Riunione dopo non credo una vittoria, non vedo sorrisi. Non sopporto ridere dopo le sconfitte”.
Sul tetto.
“Quando mi vedono lì son convinto che molti abbiano paura che io cada. Mi affaccio spesso a guardare le cose della squadra, mi piace tanto il tetto. Butto lo sguardo di sotto e domino tutto quello che c’è da controllare. Quando rientro dentro mi illudo di aver visto tutto, non è così. Mi piace tanto affacciarmi da lì, lo faccio spesso, ora meno. È il mio tetto”.
Con Pallotta.
“Che sto facendo? Jim è un uomo che ha una grande facilità di rapporti. È giocoso. Lui si fida molto di me, io mi fido delle sue idee, della sua voglia di ottenere risultati. Ci riuscirà, con o senza di me”.
Lo striscione all’Open Day 2013.
“L’ho considerato un messaggio da assecondare e da seguire. Abbiamo combattuto parecchio per rimediare a quella giornata, che non vorrei definire tragica, non posso usare questa definizione per lo sport. Una giornata tristissima per i tifosi della Roma, devo dire che quel giorno la Roma è diventata, semmai fosse possibile, un impegno emotivamente superiore. È stata una cosa brutta. Ho voluto ricostruire, cambiare alcuni miei pensieri circa la maniera di costruire una squadra. Avevo idee diverse, buone ma non applicabili. Siamo ripartiti con Garcia e un gruppo di calciatori straordinari, nel campo e nello spogliatoio. Ragazzi che sono ancora qui e che porteranno a casa qualcosa, sentono l’impegno di farlo per la Roma e per i tifosi”.
Rudi Garcia.
“Mi compiace questa intuizione che mi attribuisco. È stato scelto in un momento molto molto difficile, in cui c’era da rifondare e portare un allenatore. Mi sono confrontato con molti in quel mese di giugno, di Rudi mi son ricordato, lo seguivo da sempre. Ho fatto un tentativo di chiamarlo, devo dire che mi ha colpito, era in vacanza e l’ha interrotta per venire a Milano. È stato convincente nella sua semplicità e capacità di analisi, serena. Avevamo bisogno di serenità combattiva, di andare in trincea ma con la tranquillità e una capacità d’analisi che ci avrebbe portato fuori da quella dimensione. Devo dire che lui ha dato risposte enormi, ha fatto e fa un lavoro per la Roma eccezionale. Quando è uscito dalla stanza ho fatto una domanda supplementare, gli chiesi che rapporto ritenesse di costruire con la squadra. Tornò indietro sgranando gli occhi, dicendo che ama la sua squadra. Non voglio enfatizzare questa cosa, ma due parole messe insieme possono essere decisive. Lo sono state in quella circostanza”.
Juventus-Roma 3-2.
“Di quand’è (ride, ndr)? Una partita che ha raccontato che Juventus e Roma giocano alla pari. Qualcuno credo che loro siano più forti, in molti credono che siamo più forti noi. Dopo sono successe tutta una serie di cose che fanno ridere, sono il DS di questa squadra e ho solo denunciato la partita in sala stampa, non facendo prospettive o piagnistei. Ho detto che i tre gol non erano validi e ho accettato il risultato e la forza della Juventus. Dobbiamo accettare i risultati, anche quelli dolorosi. Quel giorno abbiamo perso, il risultato sarebbe stato diverso con un arbitraggio diverso, stimo moltissimo Rocchi e sarei tranquillo se tornasse. Ha sbagliato partita, ma è passata. Ne rigiocheremo altre e dovremo dimostrare di essere più forti della Juventus”.