La Gazzetta dello Sport (D.Stoppini) – Occhio a maneggiare l’italiano, si rischiano autogol linguistici e/o casi di involontaria comicità. Così, quando Rudi Garcia dice che «se serve, spingerò la Roma fino alla morte», qualcuno può pure sentirsi autorizzato a leggerla come una minaccia in ottica futura, un annuncio di discesa agli inferi, più che una conferma della scarsa voglia di dimissioni da parte del francese. Scarsa, per la verità, come sarebbe per la maggior parte degli allenatori di questo mondo, a fronte di un contratto da 2,8 milioni di euro netti, fino a giugno 2018. Dura mollare il portafoglio. Dura anche se sei il primo imputato di un disastro, se la tua compagna viene insultata su twitter — da censurare i messaggi post eliminazione rivolti a Francesca Brienza —, dura persino se ti accorgi che la squadra va da un’altra parte. Lupi non sono e non saranno i giocatori, magari pure perché il capobranco ha perso di efficacia, di incisività, in definitiva di leadership.
J’ACCUSE – Il perché va letto anche nelle dichiarazioni di ieri del francese, una serie di j’accuse al mondo giallorosso che gli ruota intorno. Che ai microfoni dice pure «mi prendo io tutte le colpe, nessun alibi per l’eliminazione, abbiamo fallito ma ora pensiamo a vincere domenica». Ma lo fa solo dopo aver sottolineato i demeriti altrui. I demeriti dei preparatori atletici, su tutti quel Darcy Norman piazzatogli vicino (o sopra?) dalla società la scorsa estate, che il francese non smette di «pizzicare» appena capita l’occasione. E ieri l’occasione era d’oro, pur nel mezzo di un discorso che portava ad altro: «In questo momento la benzina è poca, fisicamente potremmo stare meglio». Seconda accusa, poi, in direzione della squadra: «Spero che questa sconfitta serva da lezione per i giocatori: se uno scende in campo con i dubbi e senza prendere rischi non va da nessuna parte, non può mai vincere». Verrebbe da aggiungere che la Roma non è neppure in grado di procurarsi un’occasione da gol. Ieri primo tiro in porta al 42’ del primo tempo, dopo i 90’ a secco di Napoli. E nelle ultime sette partite solo una rete su azione, quella inutile di Dzeko al Barcellona. «Sono tre gare che non subiamo gol, ma ora non riusciamo più a segnare. Non abbiamo equilibrio, questo è il problema attuale», spiega Garcia. Che poi lancia l’ultima bacchettata al club. Quando il francese sottolinea che «i giocatori devono capire che sono nella Roma, forse glielo dovrò spiegare io, non si può uscire dalla Coppa contro una squadra di B», il riferimento è a quei calciatori schierati ieri (Uçan, Emerson, lo stesso Iturbe) acquistati dalla società, nei quali Garcia ha smesso di credere. O forse non ha mai iniziato.
ANCORA I LUPI – È un modo per rilanciare, in definitiva, forse per spostare l’attenzione. Ma il Genoa è una virata rischiosa in alto mare, traghetti e traghettatori sono già pronti. «Domani (oggi, ndr) parlerò alla squadra e forse ascolterò anche — ancora il francese —. Restiamo in piedi nella tempesta, ora ci vuole carattere o orgoglio. Dobbiamo ritrovare lo spirito dei lupi». Avanti con gli slogan. Solo con quelli, però.