La Gazzetta dello Sport (S.Vernazza) – Se fosse un film o una canzone, sarebbe «La migliore Roma della nostra vita». Se fosse un quadro, sarebbe «L’urlo di Manolas» per il 3-0 della qualificazione. Impresa epica, anzi omerica della Roma che ha rovesciato il Barcellona come un calzino e ha ridato speranza a noi italiani «senza Mondiale». Subito va chiarito un concetto: questa è la vittoria di Eusebio Di Francesco, del suo coraggio tecnico-tattico – mai visto di recente un Barça tanto passivo e in imbarazzo, della sua capacità di trasmettere fiducia alla squadra, di farle credere che nulla sarebbe finito finché non fosse veramente finito, quando tutti attorno degradavano il match ad amichevole, dato il 4-1 dell’andata. Questo deve essere lampante, se vogliamo che la qualificazione della Roma alle semifinali di Champions sia un punto di ripartenza e non un episodio isolato, frutto di una serata tre volte magica e di un allenatore che ieri sera si è consegnato all’eternità giallorossa. Ce la possiamo fare se prendiamo esempio da questa partita «difranceschiana», se la smettiamo di girare per l’Europa come se fossimo nel Novecento e non nel 2018. Grazie Roma, grazie Di Francesco, grazie per l’esempio. Sì, se puede. Yes, we can. Basta volerlo.
PADRONI – Roma aggressiva e mordente, col pressing in canna e fruttifero nell’immediato, in sei minuti: lancio di De Rossi per Dzeko e bosniaco esemplare per controllo, difesa del possesso e lucidità al tocco. Bruciato Ter Stegen e 1-0: vuoi vedere che? No, è presto, calma. Giallorossi con difesa a tre o a cinque in base alle fasi, ma atteggiamento da battaglia. Tutti a premere uno contro uno. Menzione speciale per De Rossi, visto di rado negli ultimi anni così in alto sulla scacchiera. Il capitano si spingeva in territorio nemico a braccare Rakitic. Succedevano cose particolari: l’apprendista campione Schick per due volte ha rubato palla al professor Iniesta. Barcellona stupito, per non dire annichilito, coi difensori costretti a lanciare, scelta di gioco che nel Barça equivale all’eresia perché i blaugrana, per quanto l’era Guardiola sia finita da un pezzo e pure Luis Enrique se ne sia andato, restano depositari di un’idea illuminata di calcio, in cui il pallone viene accarezzato, mai gettato alla cieca in avanti. Faceva strano osservare il Barcellona trattato alla stregua di un Cagliari qualsiasi, vedere Messi condannato a elemosinare rimasugli e fischiato per due punizioni calciate al cielo. Così è andata nel primo tempo, in cui se la Roma ha avuto una colpa è stata quella di non aver capitalizzato meglio tanta superiorità. All’intervallo l’1-0 suonava risicato, lasciava un retrogusto amaro. Strisciavano i rimpianti per le due occasioni capitate a Schick, per la deviazione di Ter Stegen sull’incornata di Dzeko. Si faceva largo il timore che Messi si destasse dal torpore.
RIBALTONE – E invece no, la Roma si è buttata tra le braccia della ripresa con identico spirito padronale. Barcellona sempre più comprimario e Messi fantasmatico, pensoso, incaponito in dribbling uno contro troppi. Dentro nottate simili viene fuori la differenza tra lui e Ronaldo, quanto a capacità di essere leader che trascinano gli altri e non soltanto se stessi. Roma bella, Roma liberata, e quando Piqué ha falciato Dzeko in area e l’arbitro Turpin per un attimo ha fatto finta di nulla, l’Olimpico è andato a un passo dall’insurrezione popolare. Poi l’addizionale di porta Buquet ha richiamato Turpin ai suoi doveri regolamentari. Il rigore è stato concesso, De Rossi l’ha trasformato: 2-0, in quel preciso momento l’impossibile è diventato possibile e la partita è diventata un fiume giallorosso di correnti forti, irresistibili. Di Francesco ha azzeccato i cambi, con gli innesti di Under ed El Shaarawy. Il 3-0 di Manolas, su corner, ha provocato l’effetto Tardelli ’82. Tutti a urlare, pazzi dalla gioia. Quel che restava è finito in corrida: la rabbia del Barcellona, gli assalti della disperazione, come se parlassimo di una squadra qualunque e non del grande Barça capolista della Liga col suo dio Leo Messi. E poiché il calcio ha una sua esattezza di fondo va registrato che i due «autogollisti» del Camp Nou, De Rossi e Manolas, hanno segnato due dei tre gol di ieri. Il terzo l’ha realizzato Dzeko, la torre bosniaca, il Pruzzo dei nostri giorni. Perché sì, la Roma ritorna nelle semifinali di Champions 34 anni dopo la prima volta, stagione 1983-84, quando il numero 9 era “er Bomber” e la Magica perse la finale, ai rigori col Liverpool, che è entrato nel quartetto top anche stavolta. Sta per arrivare il tempo della rivincita?