Il Tempo (M. Juric) – “Facciamo così, è colpa mia”. Le ultime parole di Mourinho dopo il derby racchiudono perfettamente lo stato d’animo attuale della Roma. Frastornata tra lo smarrimento degli attaccanti, la catena di infortuni, la sfortuna, la mancanza di qualità e una confusione tattica crescente. Mancherà sì la luce che accende, ma continuando al buio è facile sbattere. Servono soluzioni pronto uso per chiudere degnamente il 2022, poi servirà ragionare più a mente fredda su quelle carenze strutturali fin troppo evidenti dai numeri.
Con la sconfitta nel derby la Roma ha aggiornato, in negativo, il file scontri diretti. Nelle 18 sfide giocate contro le prime sei della classifica, con Mourinho in panchina, sono arrivate 4 vittorie, 3 pareggi e 11 sconfitte. Più che le tre vittorie dello scorso anno, era stato l’acuto di San Siro, dopo il pareggio di Torino, a far pensare ad un’inversione di tendenza contro le grandi. Il famigerato “step” da fare per lottare concretamente per un posto in Champions League.
Ma la tripla doccia fredda casalinga contro Atalanta, Napoli e Lazio ha riportato tutti sulla terra: tre sconfitte, zero gol fatti e un Olimpico da perenne sold out diventato costante blackout. Mancano 25 giornate e la classifica è ancora corta, ma è la linearità quadriennale di un galleggiamento costante nella zona Europa League a far preoccupare. Serve cambiare marcia e riaccendere la luce con chi c’è. Perché l’orizzonte di mercato profilato da Mourinho non è da fuochi d’artificio e Dybala e Wijnaldum ancora non vincono le partite dall’infermeria.
Lo fa chi va in campo e la Roma attuale è praticamente la stessa da 4 anni. Il confronto – meramente numerico – con i primi 18 mesi di scontri diretti sotto la guida di Fonseca è impietoso: 19 partite, 3 vittorie, 7 pareggi e 9 sconfitte. Ora come allora, singoli exploit senza una costanza di rendimento. Questo cosa vuol dire? Che serve fare di più. Da parte di tutti, a partire dall’allenatore certo, pagato anche per trovare soluzioni nell’emergenza di una rosa fragile e carente, in un periodo finanziario focalizzato sulla stabilità economica. Ma soprattutto dai calciatori. Uscire da quella comfort zone fatta di ricordi albanesi e contratti quinquennali concessi sulla fiducia.