Repubblica.it (E.Sisti – M.Pinci) – Spalletti 2.0, 3.0, 4.0. La novità che pesca nel passato, il vecchio che sembra una novità. Entrano gli acquisti di fresco, si ridestano gli impigriti. E la Roma scopre di essere ancora competitiva, risale, forse conta più lo stile dei punti stavolta, ma alla fine ciò che pesa in classifica è l’aver messo in chiaro, al tavolo delle pretendenti a un posto nella prossima Champions, quanto la squadra abbia ritrovato l’energia fisica e mentale per vincere le partite adottando tecniche diverse, mai la stessa soluzione, o subito, o durante o alla fine, con giocate collettive, con paziente lavoro di ago e filo, con folgorazioni, con rabbia, raramente usando la stessa “plantilla” (ma Spalletti sa chi è titolare e chi no…). E comunque senza “stile“, come lo chiama Spalletti, i punti non si fanno, non si possono infilare quattro vittorie consecutive, ostentando un carattere inedito, che sembrava definitivamente perduto. Spalletti non ha continuato sulla strada battuta da Garcia: l’ha quasi cancellata. E da subito. Mise immediatamente in chiaro che “i risultati non arrivano col bel gioco, non solo con quello, i risultati arrivano col lavoro prima di tutto, poi col bel gioco“, che del lavoro è la prima e più luminosa conseguenza. Spalletti ha cambiato Trigoria, la testa di chi ci vive, ha imposto regole, infranto barriere per costruirne altre, più adeguate. Ecco i punti del cambiamento che sa di rivoluzione in un piccolo mondo antico in cui è più facile proteggersi con i ricordi che sfidare l’avvenire.
1. Trasformismo. La rivoluzione tattica ha creato una squadra malleabile, che passa dalla difesa a quattro a quella a tre anche in corsa e sa cambiare identità, il grande propugnatore del 4-2-3-1 degli anni Duemila (Spalletti alla Roma come Benitez al Liverpool) adesso si è evoluto in un narratore di spogliatoio più completo e se vogliamo più creativo. L’arte di cambiare le carte in tavola senza cambiare il gioco e la sua intensità (o produttività) non finisce qui però: evidentemente Spalletti sa anche come spiegare al suo speciale pubblico cosa fare e quando, cosa mutare e quando, e quando al contrario i moduli sono soltanto numeri da interpretare a seconda della partita o delle varie situazioni che le partite presentano. Pochi i punti fissi. Per questo adesso la Roma sembra un “panta rei“. Prima non scorreva niente.
2. Allenamenti divisi. Spalletti allena le punte, il collaboratore Baldini i difensori, pratica utile per studiare i movimenti di reparto. Con Garcia i giocatori lamentavano proprio la carenza di allenamenti specifici sulla tattica. Spalletti cancella di colpo l’esercizio di “mantenimento“, pericoloso perché fa perdere intensità al mestiere, i suoi allenamenti sono, che ci sia o meno il pallone, più brevi ma più simili allo sforzo di gara.
3. Schemi e comunicazione istantanea. L’allenatore interrompe di continuo le partitelle. Richiama i singoli, chiarisce cosa pretende in fase di possesso e nelle situazioni specifiche. Organizzazione scientifica, ripetuta all’esasperazione, anche per studiare soluzioni sui corner e sulle palle inattive.
4. Coinvolgimento. Con Garcia l’allenamento era blindato, serrande che affacciano sul campo abbassate e passaggio davanti ai campi vietato ai primavera e anche ai tecnici delle giovanili, asserragliati, terrorizzati. Ora non c’è più alcuna paura di fuga di notizie. Ora i primavera sono aggregati in pianta stabile nelle partitelle e partecipano alle esercitazioni tattiche. Anche il tecnico dei ragazzi, Alberto De Rossi, è più coinvolto.
5. Comportamenti. Un elemento su cui Spalletti non fa sconti è l’atteggiamento. Ha chiesto ai giocatori allenamenti, come abbiamo detto, più intensi, a simulare il ritmo partita. Ha imposto uscite serali limitate ai giorni di riposo, silenzio assoluto e telefoni spenti quando parlano allenatore e staff e durante gli allenamenti. Una valenza “etica” che si basa sul concetto “stile”. E nelle conferenza stampa, dove si gioca tutta la divulgazione del club, si parla tanto di calcio. Quello vero.
6. Duttilità. Spalletti ha lavorato alla ridefinizione dei ruoli di alcuni calciatori, in senso di ampliamento e di restrizione delle consegne: un’attenzione al singolo più marcata in ottica gruppo, Nainggolan ha imparato a fare il trequartista, Florenzi il quinto di un centrocampo a cinque, De Rossi il difensore in pianta stabile, Rudiger il laterale, El Shaarawy il tornante. In fondo anche il ruolo di Totti è stato ridefinito: se possibile ancora più marginale. Ma a Francesco “si può chiedere la luna“. Tutti, Totti compreso, anche storcendo il naso e facendo il “visuccio“, hanno risposto dando massima disponibilità.
7. Il fattore “c”. Ci vuole anche un po’ di buona sorte, diciamo così. Ma nel fattore “c“ che sta sostenendo la mutazione giallorossa, scorrendo le parole che iniziano la lettera “c”, dobbiamo includere gli attributi, che dal singolo passano al gruppo (si può usare anche una parola con la lettera “c”…), formando un circolo virtuoso. Al “circolo” con la lettera “c” si aggregano la condizione, i comportamenti, la convinzione, il cambiamento, le (nuove) certezze, il carattere, la calma. E, ovviamente, la Champions.