La Gazzetta dello Sport (M.Cecchini) – Se è vero che il derby è un romanzo, quello che stasera scriveranno Roma e Lazio ha tutti i crismi della grandezza e il rischio inevitabile della incompiutezza. Scomodando la nobiltà letteraria, la squadra di Luciano Spalletti potrebbe essere «Alla ricerca del tempo perduto» di Marcel Proust e quella di Simone Inzaghi a «L’uomo senza qualità» di Robert Musil. Entrambi questi capolavori non furono terminati, e in effetti il verdetto dell’Olimpico – per chi non si accontenta della superiorità nel Grande Raccordo Anulare – avrà sempre l’ansia del finale ancora da scrivere. Per il resto, in fondo, c’è un po’ tutto. Col ritorno di Spalletti, la Roma ha scelto di costruire il futuro guardando all’indietro, all’allenatore degli ultimi trofei in Coppa e dei duelli scudetto contro l’Inter. Con la scelta invece di Inzaghi – l’apparente carneade recuperato dopo il sogno Bielsa – si è scelto la semi-incognita. Occhio, però, perché Marcel (il Narratore) ricordando la sua vita vuole costruire il romanzo assoluto, così come Ulrich non è affatto «senza qualità», bensì un personaggio ricco di talenti ed ambizioni.
SOLDI ED ESPERIENZA – Insomma, due pesi massimi della riflessione a confronto, così come giallorossi e biancocelesti possono ringhiare al mondo la loro fame. Ad osservarli un Olimpico magari non all’altezza dei giorni più belli – i paganti saranno circa 45.000, vedremo gli omaggi – ma di sicuro caldo come si conviene. L’impressione è che di tifo ce ne sarà bisogno su tutti i fronti. Infatti, la vittoria della Lazio nel derby d’andata – santificata grazie a un 2-0 pesante – ha materializzato uno dei luoghi comuni del calcio, ovvero che le stracittadine sfuggono alle previsioni. Pensateci bene: la squadra giallorossa non perdeva un derby dal 26 maggio 2013. Vero che si trattava della storica finale di Coppa Italia, ma da quel momento erano passati quasi 4 anni, una mezza eternità. In questa stagione, poi, il club di Pallotta si presentava ai nastri di partenza con un fatturato di 233 milioni e un monte ingaggi di circa 100 (lordi) contro i 92 di ricavi della società di Lotito, che per gli stipendi non avrebbe speso più di 55. Logico considerare la Roma almeno la seconda forza della Serie A e la Lazio una incognita. Se a questo si aggiunge che, alla sfida dell’andata, i giallorossi si erano presentati psicologicamente più forti anche grazie al successo nel primo derby di campionato, l’esito del match di marzo è stato imprevisto. Ma proprio la solidità complessiva della Roma – al netto dei buchi neri contro Porto e Lione – sulla carta non renderebbe miracolosa una rimonta. Insomma, l’epica di Barça-Psg non ha nulla a che vedere con stasera. Semmai, i nostalgici giallorossi rispolverano le rimonte con Colonia (si partiva 1-0, finì 2-0) e Partizan (4-2, 2-0) in Uefa e soprattutto col Dundee in Coppa Campioni (2-0, 3-0). Precedenti nobili, che però non hanno niente a che fare coi derby. Per questo l’esperienza è un dato con cui fare i conti, e su questo fronte la Roma in panchina si farebbe preferire, visto che il titolato Spalletti guadagna 3 milioni e Inzaghi appena 500 mila euro. Ma può bastare? Di sicuro ci aspettiamo gol, visto che i giallorossi in stagione ne hanno segnato 97 e i biancocelesti 60.
DZEKO E IMMOBILE – Se numeri del tifo, peso economico e qualità della rosa danno fiducia alla Roma, c’è anche la variabile rappresentata dallo straordinario duello fra attaccanti. Da un lato Dzeko, coi suoi 33 gol stagionali in giallorosso, è entrato nella storia del club; dall’altro Immobile, forte di 20 reti, è il simbolo di una resurrezione. In fondo, entrambi sono perfetti per la partita che li attende. Spalletti ha bisogno di un ariete tecnico per sfondare, mentre Inzaghi di un velocista per ripartire. È il loro autoritratto, quello che però aiuta la Lazio, ora favorita, a calare le proprie carte. Perché a dispetto di tutto, i biancocelesti hanno la possibilità di fare la partita che vogliono: attenta in copertura grazie alla difesa a tre e inesorabile nelle ripartenze sfruttando le caratteristiche anche di Felipe Anderson e Keita. Per questa ragione, infatti, Spalletti potrebbe decidere di cambiare pelle, accantonando la retroguardia a tre per tornare all’antico 4-2-3-1, che profuma di centrocampo più folto e soprattutto di passato. Non sappiamo ancora se il tempo che evoca sarà perduto o ritrovato, ma di una cosa siamo certi: Roma e Lazio non racconteranno un derby senza qualità.