L’ansia dell’ignoto agita Luis Enrique: «Non abbiamo mai giocato alle 12.30, è un orario strano, per noi non sarà facile. Dovremo essere molto pronti, altrimenti avremo problemi contro il Novara» . Soprattutto se la Roma entrerà in campo con la sensazione di avere già vinto: «Sarebbe un grave errore, perché le partite vanno giocate. Ecco, se c’è una cosa che mi preoccupa è la mia squadra. Non è ammissibile rilassarsi. Dobbiamo affrontare questo impegno con la mentalità giusta: intensità, velocità, ambizione» . Anche perché altrimenti, l’obiettivo Champions League diventerà davvero irraggiungibile: «Non penso al terzo posto ma a battere il Novara. E’ difficile fare calcoli sulla classifica, perché ci sono tante squadre davanti. Intanto vinciamo, poi pensiamo al resto. I conti si fanno sempre alla fine» .
La mandibola si irrigidisce, l’espressione si indurisce quando la platea gli fa notare che la Roma ancora non ha assimilato la sua idea di calcio. Luis Enrique si prende venti secondi per riflettere sull’argomento, poi spara: «Se volete posso dirvi che sono un cattivo allenatore, ma la verità è che a volte in campo non è semplice applicare quello che viene chiesto. So che è così perché sono stato calciatore. Sono il primo ad arrabbiarmi quando non vedo le cose che mi piacciono ma conosco bene il calcio: da fuori giudicare è facile mentre dentro basta un dettaglio a cambiare tutto […]. Se riesco a tenere la palla nell’altra metà campo, il rischio è il benvenuto» . Ma senza imitare il Barcellona, sia chiaro una volta per tutte: «Noi siamo la Roma, loro sono unici perché hanno giocatori unici. Se hai Messi, Iniesta, Xavi, Dani Alves che si passano il pallone in un metro senza sbagliare mai, è tutto più facile. Il Barcellona ha determinate caratteristiche che si adattano a certi campioni, noi abbiamo le nostre. Puntiamo a fare un calcio che piaccia ai tifosi e che ci avvicini alla porta avversaria. In questo siamo simili al Barcellona, ma solo in questo» .
Difende la sua Roma in blocco, a maggior ragione difende Totti pur lasciando capire che contro il Milan non gli è piaciuto. «Non credo sia giusto giudicare un calciatore per una partita – spiega – . Francesco serve ancora tanto alla squadra, è un punto di riferimento. E la sua stagione sarà valutata a fine campionato. La sua, come la mia e quella degli altri» . Compreso Bojan, a cui restano nove partite per impadronirsi del mondo Roma: «Bojan è un ragazzo del 1990. Bisogna avere un po’ di pazienza con i giovani. Può diventare importante perché ha la cosa principale per un calciatore: la qualità. Non a caso ha battuto già tanti record rispetto all’età che ha. Per ora vedo che si sta allenando bene e mi aspetto che faccia sempre di più. Avrà le sue opportunità» . Tanto Luis Enrique non è un tipo che ha fretta: «Avevo detto che sarei rimasto cinque anni alla Roma. Ma per quanto sono contento qui, per come mi trattano i colleghi in Italia, penso che gli anni possano diventare anche dieci».
Corriere dello Sport – Roberto Maida