Le conferenze stampa di Luis Enrique sono un po’ come la scatola di cioccolatini di Forrest Gump: non si sa mai quello che può capitare.Dentro non ci sono solo frasi di circostanza, pause studiate, messaggi non convenzionali o «botte» ai giornalisti ma anche pensieri, parole ed espressioni tutte da studiare, rileggere ed analizzare attentamente. Il Luis Enrique pre Napoli ha la faccia un po’ così de gli ultimi tempi, dice cose che evidenziano che più di qualche pensierino per il futuro gli sta frullando in testa e riesce in un colpo solo, dopo aver fatto ancora una volta pubblica ammenda, a caricare e a scaricare la squadra. «Mi prendo per primo tutte le mie responsabilità – è stata la chiusura con il botto di ieri dell’asturiano – ma i calciatori devono migliorare tantissimo. E lo devono fare tutti, da quelli che portano la maglia della Roma da un mese, passando per chi la indossa da dieci anni fino ad arrivare a chi la veste da venti anni. Tutti, nessuno escluso, devono dare di più per essere all’altezza di una tifoseria e di una società come la Roma».
Poco prima, però, era già arrivata un’altra stoccatina: «In qualche gara, soprattutto nelle ultime, è sembrato che ai miei mancasse la grinta e la voglia di vincere. Certo, nella nostra rosa, in alcuni giocatori, ci possono essere dei difetti. Più che altro, molte volte, non siamo riusciti a cambiare il corso delle partite. Sì, qualche volta c’è mancata la personalità. Ma non è una cosa che si compra al supermercato o che si ottiene da un mental coach. Il mental coach, poi, non è per la squadra ma per lo staff». Tutti colpevoli e nessuno innocente. «Io, però, non mi sono mai pentito di essere venuto alla Roma. La classifica dice che meritiamo di essere settimi, ma mancano ancora quattro partite, seppur difficilissime, e possiamo ancora qualificarci per l’Europa League. Ora è il momento di stringersi attorno alla squadra e fare quadrato. Alla fine della stagione guarderemo i problemi, cercheremo delle soluzioni, vedremo cosa succederà e deciderò cosa fare. Io penso comunque che la società, l’allenatore e i calciatori abbiano messo la prima pietra al progetto generale della Roma. Un modo di giocare, un codice etico e il sapere come comportarsi. Per ora, purtroppo, ci sono state troppe sconfitte ma sono sicuro che la Roma nel futuro vincerà. Sarà la Roma di Luis Enrique? Sarà la Roma dei romanisti, la Roma dei tifosi. Quella è la Roma vera».
La Roma vera, quella dei tifosi, nel frattempo rumoreggia. Soprattutto, nei confronti dello stesso Lucho. «Non posso giudicare se si è rotto qualcosa con l’ambiente da uno striscione. Dietro a uno striscione ci può essere una persona come possono essercene cento. Penso che i nostri tifosi siano incredibili e che sia anche normale che fischino. Io vivo la situazione come la deve vivere un professionista: non mollare fino all’ultimo e fare quello che credo sia più giusto». Commenti su Guardiola no, una precisazione sì: «Non sono scaramantico, le corna in Spagna non esistono. Mi dispiace che a quella foto che mi è stata scattata in Roma-Fiorentina sia stata data un’interpretazione del genere». Niente corna, siamo spagnoli.
Il Tempo – Matteo De Santis
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