La società è schierata compatta con Luis Enrique, Luis Enrique non intende mollare, la squadra comincia a interrogarsi. E’ questa la sintesi della domenica depressa della Roma, che si prepara a un’altra settimana molto delicata. Se a Novara dovesse arrivare la terza sconfitta di fila, gli equilibri potrebbero saltare.
FIDUCIA – «Ce la farò: ci vorrà tempo ma riuscirò a trasmettere le mie idee». Luis Enrique l’ha detto ai dirigenti il giorno dopo la partita con il Milan. Superata l’influenza, che gli aveva sottratto la solita verve nelle interviste, ha ripreso forza e voglia di lottare. Non ci sono dimissioni in vista, quindi. E la società, da parte sua, non mette minimamente in discussione l’ «utopia» per un paio di risultati negativi. I primi venti minuti del secondo tempo – osservano a Trigoria – sono un motivo per sperare nella crescita di un gruppo che ha un potenziale importante, ma ancora non ha imparato a comportarsi da squadra. La Roma che ha perso contro il Milan, insomma, è piaciuta di più rispetto a quella beffata a Genova: è stato l’avversario a fare la differenza, anzi a pareggiare i danni, mettendo a nudo i limiti attuali di una difesa fragile. In un certo senso la triade romanista prevedeva queste difficoltà. Ecco perché (oggi, 31 ottobre) non pensa neanche un po’ a cambiare allenatore. Cancellerebbe con un colpo di spugna un piano di lavoro che deve fruttare a lungo termine. Cancellerebbe se stessa.
PERPLESSITA’ – Adesso però sono i giocatori, soprattutto quelli che vengono dalle gestioni precedenti, a non trattare più il capo come un oracolo. La dittatura dei risultati funziona come un detonatore sugli spogliatoi. Non esistono calciatori che giocano contro, ci mancherebbe. Ma c’è fermento. Domenica, sia durante l’intervallo che dopo la partita, Luis Enrique si è arrabbiato con la squadra per gli errori difensivi: «Non succede neanche nei campionati giovanili di perdere l’uomo sui calci piazzati» ha spiegato. Giustissimo. Ma la squadra obietta: perché in quattro mesi di allenamenti non è stato dedicato più tempo ai test sulle palle inattive, che già negli anni passati erano stati un problema per la Roma? I più esperti del gruppo si sono sentiti punti sul vivo quando Luis Enrique, in sala stampa, ha elogiato l’atteggiamento dei giovani Pjanic e Lamela; attribuendo, senza fare nomi, a Juan e Cassetti la responsabilità dei primi due gol. «Adesso diventa colpa nostra?», pensano.
FATICA – E attenzione: al club degli scontenti, o almeno dei perplessi, si è iscritto qualcuno di quelli che giocano sempre e che in campo danno il massimo in ogni situazione. Quindi i dubbi non sono di comodo. La squadra si sta piano piano convincendo, a torto o a ragione, che il gioco di Luis Enrique sia troppo dispendioso dal punto di vista energetico rispetto a quanto produce. La mancanza di lucidità sarebbe quindi la causa principale delle distrazioni e della scarsa reattività.
DISORIENTAMENTO – L’altra questione è legata alla preparazione delle partite. Prima del Genoa e del Milan, Luis Enrique aveva provato Taddei tra i titolari. Poi invece ha confermato Josè Angel, ancora non affidabile nella fase difensiva. E Taddei non è stato nemmeno convocato. Possibile? Normale, nel nuovo corso. Fino all’ultimo nessuno, tranne Luis Enrique e lo staff spagnolo, sa la formazione. L’allenatore la annuncia soltanto un’ora e mezza prima della partita. Un esempio di qualche settimana fa chiarisce le abitudini: Pjanic si era attardato in un’intervista a Sky nel prepartita; uno dei collaboratori di Luis Enrique lo ha ripreso chiedendogli di affrettare i tempi, perché «il mister» stava per comunicare la lista degli undici titolari.
Corriere dello Sport – Roberto Maida
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