Siate buoni, concedete al popolo giallorosso la gioia di sognare, di allungare lo sguardo oltre il muro di cinta della propria casetta, di affidarsi al futuro. Una dimensione che il largo investimento sulle forze giovani e sulla ricostruzione di una società in macerie rende largamente praticabile. Mi piace ricordare lo striscione che ha accolto le prime apparizioni della nuova Roma all’Olimpico: «Mai schiavi del risultato», diceva, un appello civile, un segno di crescita dopo i turbamenti di qualche reazione isterica alle prime avversità. Lo sapevano tutti, comprese le vedove in gramaglie degli autori della scommessa su Adriano e dell’acquisto prestigioso di Zamblera, che non era possibile arrivare a passo di carica a risultati troppo ambiziosi. Così come tutte le persone sorrette da solida onestà individuale non possono non avere apprezzato la linea di condotta suggerita dalla gestione americana e dai suoi interpreti a Trigoria. Dall’abolizione dei privilegi per quelli che avevano fatto del biglietto gratuito di tribuna d’onore una questione di prestigio: quelli, per intenderci, ai quali non mancavano certo i soldi per presentarsi al botteghino. Cancellate le polemiche sugli arbitraggi, atteggiamenti eleganti che magari i meno attenti a una crescita culturale avranno disapprovato.
Senza dimenticare che questa gestione ha subito fatto comprendere che il tecnico scelto in Spagna, alla regale corte del Barcellona, sarebbe stato protetto, perché potesse portare a compimento un progetto a lunga scadenza, una stagione da amministrare con il cartello «Lavori in corso» sotto gli occhi dei tifosi più attenti e responsabili. Alla faccia di chi, e torniamo alle vedove, avrebbe preteso che Luis Enrique se ne tornasse a casa come un cialtrone qualunque, all’indomani dall’uscita da quella Europa League che nessuna mente illuminata avrebbe posto al vertice degli obiettivi stagionali. Del tecnico asturiano mi piacciono la filosofia e gli atteggiamenti. La prima prevede che il bel gioco, un’eccezione per le nostre platee, venisse comunque anteposto ai risultati. I secondi, quell’onestà morale che non tutti i titolari delle panchine del nostro campionato sanno dimostrare. A Udine, un arbitro come Rocchi, puntualmente catastrofico quando è in periodo di luna attraversata, regala al Napoli la rimonta e Mazzarri afferma che la sua squadra avrebbe meritato di vincerla, quella partita. Dopo la vittoria di misura sul Genoa, che in qualche modo ha rimesso in corsa la Roma verso qualche traguardo europeo più o meno appetibile, Luis Enrique ha detto che la sua squadra non gli era piaciuta, ha elogiato il Genoa riconoscendo che avrebbe avuto diritto a un risultato positivo. Non si è adagiato, insomma, sul comodo giaciglio di questi tre punti preziosi, ma ha giudicato la partita come un osservatore distaccato. Va incoraggiato e sostenuto, il tecnico; giovane, come una squadra che da anni non esprimeva così vivide speranze.
Il Tempo – Gianfranco Giubilo